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20/12/2024
14/04/2023 FABIO CAUCINO
''Questa è un'epoca nella quale ci confrontiamo quotidianamente tra l’esaltazione della forma e la pochezza della sostanza...''
Benvenuto Fabio. A leggere il tuo fitto e variegato vissuto artistico non basterebbero pagine e pagine per descriverlo. Prova, per sommi capi, a descriverci le fasi salienti della tua carriera, anche per far sapere qualcosa in più a chi deve ancora conoscerti come artista poliedrico... ''Buongiorno a te e grazie per quest’intervista. Se devo rendere semplice venticinque anni di attività mi reputo una persona curiosa ed attenta a ciò che mi capita intorno. Questa curiosità mi ha portato a sperimentare la dicotomia tra la mia parte tecnica e razionale e dall’altra quella umanistica e di percezione. Forse è proprio per questo che scelsi Architettura nella mia fase di formazione e che mi ha permesso di diventare docente di disegno tecnico e storia dell’arte, ma anche di sviluppare la mia passione per le arti multimediali e quindi la composizione musicale, il design e le tecnologie informatiche audio e video. Nella musica così come nella vita ho fatto tanti incontri non solo come musicista ma anche come operatore culturale e mi sono sempre professato cantautore estremo suonando davanti a 10.000 mila persone con artisti di livello nazionale, da Capossela a Bersani o davanti a 4 irriducibili spettatori nei club di tutta Italia. Dopo tanti anni, tanti concerti, tante produzioni discografiche, Festival, libri anche io ogni tanto mi stupisco di come la passione e l’esigenza della comunicazione mi abbia fatto lavorare così tanto''.
Dopo appena due anni, dai il sèguito al precedente album “Morimmo tutti nell’abbondanza” con il nuovo “Exit –Piano B”. Presumo che, stavolta, c’era un’urgenza tematica impellente ed improcrastinabile per far passare cosi poco, in quanto la tua media, tra un disco e l’altro, è tra i 3-5 anni... ''Le ragioni della mia ricerca musicale nascono dal titolo, dalla ricerca di un PIANO B, una via d’uscita dall’omologazione, cosa che per altro è sempre ben presente nella mia vita. Se nel disco precedente, ''Morimmo tutti d’abbondanza'', ho cercato di spolpare la forma canzone, riducendola all’osso della sua essenza attraverso due soli strumenti, in questo lavoro ho voluto riappropriarmi completamente del mio modo di vedere la musica, senza alcun filtro, senza compromessi e senza altre mani che portassero il loro valore aggiunto. Mi sono messo alla prova cercando sonorità e soluzioni che mi appartenessero fino in fondo. Ho voluto sottolineare una delle sfaccettature compositive che forse nei cinque dischi precedenti avevo tenuto più nascosta. Forse l’urgenza di continuare a comunicare soprattutto dopo il periodo della pandemia ha fatto da sfondo ad una maggior produzione. In realtà sto lavorando già ad un nuovo disco''.
Cosa vuoi rimarcare e cosa vuoi suggerire al pubblico in questi nuovi 9 brani per ridestare l’interesse verso un’arte non frivola ma che duri nel tempo? ''Molti sono i temi che cerco di sviluppare all’interno di un disco pregno di testi che, una volta, si sarebbero chiamati impegnati. Dall’incomunicabilità all’ambiente, dal valore della fatica alla speranza di un cambio culturale generazionale. Sicuramente in un’epoca nella quale ci confrontiamo quotidianamente tra l’esaltazione della forma e la pochezza della sostanza e tra la prassi che si fa regola senza chiedersi il perché di ciò che accade, sento la necessità di portare voce e fiato alla speranza che l’arte possa riprendere una funzione differente dal puro intrattenimento ma che torni a far pensare, che alzi il livello e induca a fare comunità, a vivere le situazioni della vita in modo più consapevole, riconducendo a quella funzione sociale che l’arte, in qualsiasi forma venga espressa, ha avuto in passato''.
È molto evidente ed apprezzabile la tua ricerca sonora per quest’opera, che si dipana tra incastri di cantautorato, rock, indie, alt-jazz, ma con uno stile narrativo tutto tuo. È tanto che ci lavori per raggiungere questo tuo stilismo identitario? ''Come ben sai la ricerca è infinita e la continua contaminazione è dettata dall’ascolto di molti dischi. Lo stile che ho cercato di maturare nel tempo è sempre figlio di una ricerca di sé da una parte e dall’altro di portare il proprio contributo compositivo per tracciare un piccolo passo in più di ciò che già c’è. In altri termini con gli anni ho cercato la mia vocalità, senza riferimenti al passato, cercando il mio modo di esprimermi con voce e testi, mentre nella parte musicale non sono mai stato uguale a me stesso, cercando ogni volta soluzioni interessanti che fossero contemporanee al tempo in cui quel disco è stato composto''.
A mio parere, “Dipingi l’anima” è il picco della tracklist, con quell’humus noir-poliziesco e punteggiature di keyboards spettrali. Cosa hai voluto dire con questa canzone? Forse, di ri-abilitare la voglia di ricercare la bellezza nel nostro mondo introspettivo? ''Questa è la canzone più ottimista del disco. Non a caso l’ho scelta come primo singolo corredato da un video molto vitale, contemporaneo e colorato. La ricerca è quella di tornare a guardare dentro di sé per poter cambiare ciò che ci accade intorno. È un’alternativa al selfie narciso del nostro ego, per tornare in una dimensione più profonda ed arrivare a toccare le corde di un’anima sopita che ha bisogno di essere riscattata per incidere nella propria vita. Nello specifico della domanda, la ricerca della bellezza è il presupposto iniziale per riscoprire ciò che è già dentro di noi, dentro alla genesi di parole come alterità, gratuità, empatia che nel mondo contemporaneo fanno fatica ad emergere''.
Nel tuo cammino hai incrociato molti big: Capossela, Freak Antoni, Caputo, Baccini, Baustelle, Bollani, tanto per menzionarne alcuni. Ebbene, c’è stato modo di continuare a frequentarli o a gettare basi per delle possibili collaborazioni in studio? ''Negli anni ho potuto essere ospitato da questi artisti grazie a collaborazioni tra agenzie, manifestazioni comuni, incontri improvvisi. Ho continuato a collaborare ad esempio con Francesco Baccini, ma tra tutti porto con me il ricordo di una lunga collaborazione live con Nicola Arigliano. Insomma, sapere di poter scambiare due chiacchere con Samuele Bersani al Premio Tenco davanti ad un bicchiere di Rossese di Dolceacqua l’ho sempre trovata una gran soddisfazione''.
So che tu hai parecchi “Lati B” artistici: graphic-designer, professore, conduttore radio-tv, scrittore e grande curioso della multimedialità. Riesci a conciliare tutto senza affanni? Hai già delle date per il tour di “Exit-Lato B”? ''Ammetto, sono molte le cose che mi appassionano, ma ho imparato negli anni a gestire tutto con la massima serenità perché il mio corpo mi avverte quando vado fuori giri e in automatico cerco di rallentare. L’elogio della lentezza, già sviscerato da molti artisti, ha il fascino di non destabilizzare, ma dall’altra la quantità di attività che ho mi fa tenere sempre il cervello in allenamento, cosa molto utile per la composizione. Non nego la difficoltà tecnica a volte di conciliare concerti lontani dal Piemonte e da Torino, terra nella quale vivo, per farsi trovare pronto come docente per la prima ora delle lezioni del mattino successivo, ma tanto basta per suscitare nelle generazioni che ho accolto la curiosità di questa attività così difficile da definire. Per quanto riguarda un tour di questo disco è per ora un’ipotesi poiché prevede una produzione importante in termini di musicisti e di energie. Forse ad oggi sono più attratto da ciò che creo che non dal live che è sempre stato fondamentale. Ma dopo tanti anni di concerti ovunque, in questo momento non ho ancora la necessità di ripartire''. (Max Casali)