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30/03/2023   MICHELE MINGRONE
  ''Non so sinceramente se oggi gli artisti abbiano più il potere di scuotere qualcosa...''

Ciao Michele. Il tuo anno di battezzo in musica risale al 2006 con l’entrata nella band degli Scaramouche, però in questi 17 anni ti sei anche occupato d’altro. Ci racconti qualcosa? ''Ciao! In realtà ho cominciato molto prima, suonando darkwave negli anni ’90 con la band fiorentina degli Oniria, ma non siamo mai riusciti a pubblicare niente. Gli Scaramouche sono nati nel 2003, il 2006 è l’anno del disco per la EMI. L’attività degli Scaramouche è un po’ un fiume carsico, che riemerge periodicamente in superficie: l’ultima apparizione, anche se solo virtuale - era il fatale 2020 - è stata “Terra amara”, la nostra versione di un brano del gruppo turco dissidente Grup Yorum, con una mia traduzione in italiano del testo originale e l’arrangiamento del chitarrista e musicologo Andrea Gozzi. Volevamo far conoscere la loro storia, una storia di morti per sciopero della fame e di repressione da parte del governo turco. La gioia più grande è stata ricevere i complimenti e i ringraziamenti della band e dei familiari dei musicisti che sono morti in cella. Al di là della musica, mi sono principalmente dedicato alla scrittura, che è diventata il mio lavoro principale in questi anni. Tengo particolarmente al lavoro con il collettivo Imaginary Travel Ltd composto dalle mie “sorelle immaginarie”: l’illustratrice Sara Vettori, bassista degli Auge (anche loro con Vrec), e la calligrafa e impaginatrice Caterina Scardillo. Entrambe, tra l’altro, sono ospiti nel mio disco: siamo una vera e propria band! Con loro abbiamo realizzato tre “guide immaginarie”: “I Luoghi di Lovecraft”, “Vampiri dove trovarli” e “Animali misteriosi e come mangiarli”, tutti pubblicati da Edizioni NPE e molto apprezzati dal pubblico. Da solo ho scritto anche “Poe a Venezia”, viaggio anch’esso immaginario (avrai notato che è una sorta di fil rouge dei lavori che faccio) dello scrittore americano a Venezia, dove non è mai stato nella realtà, pubblicato dallo storico editore Nardini di Firenze. Ci tengo a citare anche i quattro capitoli dedicati a John Lydon, The Cure, Nick Cave e Lemmy Kilmister, publicati nei libri “Appunti di rock” 2 e 3 e “Instarock” 1 e 2 curati dal professor Andrea Gozzi''.

“La grande notte” è il tuo esordio in veste solista ma in passato, oltre ai lavori con la band, hai pubblicato altri progetti che differivano dal mondo cantautorale? ''Sì, musicalmente ho fatto cose piuttosto diverse: la più interessante, in ambito prettamente folk, è stata sicuramente “Rabbia Rosa”, un omaggio a Rosa Balistreri realizzato con Fabio Balzano, pronipote della celebre cantante folk siciliana, e uscito per Materiali Sonori. Oltre a questo, un paio di lavori di dark ambient noise, la sonorizzazione di alcuni eventi e mostre d’arte tra cui “Le visibili città invisibili”, omaggio a Italo Calvino dell’Associazione 47rosso di Firenze e la collaborazione alle musiche di una puntata di “Xenos”, un recente podcast di Rai Play Sound sul tema dell’immigrazione''.

I tre singoli estratti (“Figli del grano”, “Ombre dal mare” e “Castiglioncello”) in cosa si differenziano anche se sono accomunati (come il resto dell’album) da una spiccata passionalità? ''Grazie per aver notato la passione che c’è dietro a tutto questo... sicuramente sono tre sfaccettature diverse del progetto “La grande notte”, sia stilisticamente che dal punto di vista dei testi. “Figli del grano” risente di un clima più horror, e musicalmente è una sorta di blues deviato. “Ombre dal mare” parla di morti in mare, un tema che purtroppo è sempre molto attuale, usando la cifra di un rock un po’ ottantiano, ombroso ma con qualche squarcio di luce. “Castiglioncello” è più personale, racconta di un posto che ho frequentato e frequento spesso, e dell’effetto che mi fa, balsamico ma anche malinconico. La musica cerca di seguire questo mood, con un pop venato di violini''.

Nei brani, fai spesso ricorso alla denuncia contro le storture ed iniquità che avvolgono la società di oggi. Pensi che gli artisti dovrebbero dare tutti quel qualcosa in più per scuotere le coscienze oppure (ahimè!) t’accorgi che, forse, son tutti strali che cadono sul nascere, al cospetto della leggerezza d’ascolto? ''Non so e non giudico cosa dovrebbero fare gli altri, ognuno ha dentro di sé le sue ragioni per fare musica. Non so nemmeno se oggi gli artisti abbiano più il potere di scuotere qualcosa, sinceramente. Detto questo, trovo che questo periodo storico, iniziato pressappoco nel 2001, sia, per l’appunto, una grande notte in cui una narrazione fondata sulla paura (non solo di pandemie, terroristi e guerre, ma anche di esprimere sé stessi, di perdere quello che abbiamo, di rischiare, di esporsi) la fa da padrona. Questo ho percepito, questo ho cercato di raccontare. Tengo particolarmente a pezzi come “Babilonia”, “Palazzo di vetro”, “La peste scarlatta” e “Chi illumina la grande notte”, brani molto scuri e “politici”, che difficilmente diventeranno singoli ma che per me sono il cuore (nero) del disco''.

Nel disco c’è un’interessante platea di ospiti: dal tuo socio-Scaramouche Michele Lombardi a Francesco Fry Moneti (Modena City Ramblers), da Fabio Pocci (Phomea) a Diego Sapignoli (Sacri Cuori) e una quota rosa ben rappresentata da Caterina Scardillo, Elisa Barducci e Sara Vettori (Auge). Com’è stato lavorare con loro e come si sviluppava il processo risolutivo tra di voi? ''Con Michele, Elisa, Sara e Caterina collaboriamo da anni, basta guardarsi negli occhi per far partire un processo creativo. Anche con Fabio ci sono dei precedenti: abbiamo già collaborato per il suo disco solista (tra l’altro secondo me bellissimo), “Me and my army”, dove ho messo un paio di testi e qualche chitarra. Francesco, Diego e Don Antonio li ho conosciuti in fase di realizzazione del disco, portandogli le tracce grezze. Sono dei maestri, vere macchine da musica e delle persone spettacolari. Gli ho voluto bene fin da subito, come anche a quel mago del mixer che è Ivano Giovedì. Grazie all’incredibile direzione artistica del burbero, divertente e bravissimo Don, è filato tutto liscio velocemente. Siamo stati tutti chiusi in un casolare (lo studio Il Crinale di Brisighella) per quattro giorni suonando, mangiando, bevendo e ridendo: il disco è nato così, con una spontaneità che ho trovato semplicemente magica''.

Facciamo un excursus nel tuo mondo editoriale. Quanti libri finora hai pubblicato e qual è quello che ti ha dato più riscontri, non solo a livello di vendita ma anche sul piano dell’apprezzamento? A quale sei legato di più? ''Complessivamente una decina, con diversi editori. Ci tengo a dire che non ho mai fatto autopubblicazioni, se trovo un editore serio (rigorosamente non a pagamento) bene, sennò preferisco che le cose che scrivo restino in un cassetto. Quelli che sono andati meglio a livello sia di critica che di pubblico sono “I luoghi di Lovecraft” e “Vampiri dove trovarli”, che hanno venduto tanto soprattutto tra gli appassionati di horror, fumetti e giochi di ruolo: ormai siamo di casa a Lucca Comics e ci hanno citato anche su Dampyr della Bonelli! Il mio amore speciale va a “Poe a Venezia”, forse perché l’ho potuto presentare in pubblico una volta sola, essendo uscito in piena pandemia. Non sono riuscito a raccontarlo come avrei voluto e un po’ mi dispiace''.

Tornando a “La lunga notte”, perché inizialmente non volevi realizzarlo e solo dopo tanto ponderare (e complice un whiskey irlandese...) ti sei persuaso che doveva esser pubblicato? Seguirà un promo-tour? ''Il whiskey irlandese è il mio alcolico da meditazione quando devo prendere delle decisioni importanti... e anche stavolta ha fatto il suo dovere. Seriamente, non volevo fare una cosa del genere perché la musica è una compagna esigente, e il mio periodo da musicista semi-pro si era concluso con un guadagno netto di 400 euro e la perdita del lavoro che avevo in precedenza. Potrai intuire da questa premessa che non avevo proprio in programma di rimettermi a scrivere vere e proprie canzoni, cosa che non succedeva da dieci anni. Il fatto è che questi brani si sono formati a mia insaputa, in una parte del cervello che evidentemente li aveva elaborati mentre facevo altro, e sono usciti praticamente già completi in pochi, frenetici giorni. Non avevo mai provato questa sensazione di creatività “mio malgrado”, è stato molto intenso. Trovandomi con 11 canzoni in mano che - anche dopo due mesi di riascolti e riflessioni - trovavo belle e degne di essere realizzate, ho deciso di ributtarmi nella mischia, stavolta anche come cantante (si fa per dire, sono e resto un non-cantante). Quando ho visto le foto dello studio di Don Antonio, che già amavo con i Sacri Cuori, l’ultimo pezzo è andato al suo posto: gli ho scritto immediatamente. Da lì, tutto si è svolto in modo molto semplice e naturale, compreso l’incontro con Vrec e David Bonato, che hanno creduto subito nel progetto. Per quanto riguarda il live, debutterò il 7 aprile a Firenze al Circolo Il Progresso con La Chute, una realtà molto attenta alle nuove proposte e alla musica “di nicchia” (ci hanno suonato nomi come Lalli, Flavio Giurato, Fausto Rossi, Steve Wynn, Hugo Race e Lydia Lunch, tra i miei artisti preferiti di sempre). Altre date seguiranno, ma per ora non ti so dire di più. Grazie per le belle domande, scusa se sono stato troppo chiacchierone, mi faccio sempre trascinare...''.