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10/01/2023   NOETICA
  ''Riflessioni sul tempo e sulla vita, e sul modo in cui quotidianamente li affrontiamo...''

Benvenuti. La vostra storia inizia del 2009 ma in questi 13 anni avete cambiato più volte, chitarrista e batterista. Come siete riusciti a gestire il tutto? ''Credo che alla base di tutto ci sia la volontà di mettere le canzoni in primo piano, quindi ogni musicista ha dato sempre il suo personale apporto in funzione dell’obiettivo comune cioè l’arrangiamento del brano nel suo insieme. Durante tutti questi anni la fortuna è stata quella di aver sempre trovato musicisti con la giusta attitudine nel lavorare sulla canzone più che sul singolo strumento. Il nuovo album “L’ultima mela” è proprio il compimento di questa operazione: ho scritto le nuove canzoni e ho chiesto ad amici musicisti coi quali ho collaborato negli ultimi anni di dare il loro contribuito in uno o due brani a testa. Da questo punto di vista può essere definito come un album solista con la partecipazione di vari ospiti con influenze differenti ma tutti accumunati dalla volontà di far emergere ogni singola canzone piuttosto che l’artista''.

Nel vostro sound riecheggiano riferimenti al pop-rock italiano, epoca ‘90/’00, però nel nuovo album si avverte una palpabile virata su altre sfumature stilistiche: cosa c’è dietro questa decisione? ''Direi che sono emersi gli ascolti musicali degli ultimi anni. I miei gusti sono sempre spaziati tra i generi più disparati, dal progressive all’elettro-pop, dalla musica italiana al rock d’oltremanica. Per il nuovo album non abbiamo deciso a tavolino quale genere avremmo dovuto registrare ma ci siamo lasciati trascinare liberamente dalle influenze musicali. Probabilmente è venuto fuori maggiormente il lato cantautorale, specialmente per quanto riguarda i testi''.

I nove brani di “L’ultima mela” spaziano su tematiche varie: quali sono quelle che anelate che arrivino dritto nel cuore degli ascoltatori? ''Sicuramente il testo della title track è quello a cui sono più legato per il messaggio che ho cercato di trasmettere, il rapporto tra Uomo, Pianeta Terra, spiritualità e il modo in cui i comportamenti umani possono modificare queste relazioni. “Ballata dell’ingegnere” è invece il brano più autobiografico, una specie di ritratto di come sarei se fossi il protagonista di una novella di Pirandello. Infine, canzoni come “Dare del tu” o “Condizione necessaria” sono riflessioni sul tempo e sulla vita e sul modo in cui quotidianamente li affrontiamo''.

I singoli estratti sono: “Condizione necessaria” e “Chi verrà dopo di noi”. Qual’è stato il criterio per sceglierli? La decisione è stata unanime? ''Con il primo singolo abbiamo voluto dare una sorta di continuità artistica rispetto al nostro lavoro precedente (l’album “Visioni”) in termini di sonorità. Contemporaneamente all’uscita dell’album abbiamo poi pubblicato il videoclip di “Chi verrà dopo di noi” mostrando i primi segnali di un cambiamento negli arrangiamenti e nei testi. È un brano synth-pop, senza chitarre, che narra la storia di una coppia immaginaria che si ritrova a rivangare con la mente ricordi di un passato lontano''.

Nei cinque anni che intercorrono dal primo full-lenght “Visioni” ad oggi, quali sono stati i step più significativi che sentite di aver fatto? Quanto ha influito il vostro producer Paolo Varoli? ''Dopo l’uscita del primo album abbiamo ottenuto buoni feedback dal pubblico ai concerti di presentazione e siamo anche contenti dei risultati in termini di visualizzazioni dei videoclip correlati all’album. In particolar modo la nostra versione di “Un’avventura” di Battisti, cover che avevamo inserito in “Visioni”, ha sfiorato le 30.000 views su YouTube che sono un numero soddisfacente per una band underground come la nostra. Paolo Varoli è il nostro riferimento più importante; avevamo già collaborato con lui durante la realizzazione del primo album quando eravamo andati a registrare le chitarre presso il suo Studio Campione. Per questo nuovo album Paolo, oltre al fonico, ha svolto il ruolo di chitarrista, arrangiatore e produttore artistico. Lavorare con lui è avere al proprio fianco un professionista della musica nonché una persona umanamente meravigliosa''.

Riteniamo che “L’ultima mela” sia un disco squisitamente variegato che spazia dall’elettronica al cantautorale, dal pop a indizi di valzer e bossanova: tutta farina del vostro sacco? ''L’obiettivo iniziale per questo nuovo lavoro era proprio ottenere un album eterogeneo e questo è stato possibile grazie alla collaborazione con musicisti ospiti che hanno partecipato alle registrazioni di un brano o due a testa. Ognuno ha quindi portato il suo personale background musicale, influenzando il genere di ogni canzone. Per esempio, il batterista storico dei Noetica, Andrea Bortot, ha suonato in due brani dalle sonorità più rock mentre Nicola Carra è intervenuto in una ballata e in una bossa. Paolo Varoli ha suonato tutte le chitarre eccetto la parte di chitarra classica che in un brano è stata eseguita da Federico Nigrelli. Gianluca Molinari ha registrato un bellissimo assolo di sax nel brano “Primavera” e Paola Calciolari ha dato il suo prezioso contributo con i cori in alcune tracce. Infine, in due canzoni ho ceduto il basso al mio maestro Paolo Carra perché sapevo che il suo stile sarebbe stato perfetto per quei brani''.

Cosa vi attrae della Noetica (psico-scienza che si occupa dello studio della correlazione dell’universo, della mente, in relazione alla percezione extrasensoriale) a tal punto da sceglierlo come nome d’arte? ''In verità nessuno è un particolare conoscitore o sostenitore della noetica. L’idea è nata molto semplicemente nel 2009 quando abbiamo formato la band con la prima formazione. Cercavamo un nome da dare al gruppo e nello stesso periodo stavo leggendo il romanzo di Dan Brown “Il simbolo perduto”. La protagonista del libro è una della massime esperte mondiali di scienze noetiche. Non conoscevo assolutamente questa disciplina ma mi affascinavano le teorie descritte e la spiegazione degli esperimenti effettuati così proposi il nome agli altri membri della band che accettarono. Ci piaceva anche il doppio senso e il fraintendimento che avrebbe causato l’accostamento delle parole “no” ed “etica” intese come assenza di etica!''. (Max Casali)