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18/02/2015   GIANGILBERTO MONTI
  'I francesi la rivoluzione l’hanno fatta davvero, noi ci siamo fermati in pausa pranzo...'

Ciao Giangilberto, vorrei cominciare questa intervista parlando di ''Opinioni da Clown'', la tua ultima fatica discografica. Una riflessione sul comico e sul politico, sulla confusione dei ruoli e sul caos che impera nella nostra società. Cosa rappresenta questo disco, e soprattutto perché hai scelto proprio la figura del Clown? ''Il Clown è figura centrale nella storia della comicità e dei suoi vari aspetti nel mondo dello spettacolo. E il mondo circense rappresenta la contaminazione per eccellenza tra musica, intrattenimento e gestualità, rivolta trasversalmente alle diverse generazioni. La risata del Clown è quella del bambino, è la purezza comica assoluta, o in una parola la sua essenza liberatoria. Il disco vuole percorrere i vari aspetti di questa risata, che a volte comporta la malinconia, lo stupore o la gioia irrefrenabile, esttamente come il bambino che in un istante passa dal riso al pianto e poi ancora al riso...''. Il primo singolo estratto da ''Opinioni da clown'' è “Sei capace?”, cantato in coppia con il grande attore, comico e cabarettista Nino Formicola. Come è nata questa collaborazione? Il feeling che si percepisce tra di voi è molto forte: ci sarà un seguito? ''La collaborazione è nata dalla mia richiesta di cantare in duetto alcune parti di questa canzone, che ha suscitato in Nino Formicola un interesse più ampio, coinvolgendo le altre canzoni e il testo che le lega nello spettacolo che sto costruendo, e che forse un giorno potremmo interpretare insieme''. La tracklist di ''Opinioni da clown'' si compone di 13 tracce, tutte mai incise. C’è un pezzo al quale sei particolarmente legato, che ti suscita emozioni speciali nell’ascoltarlo (e ovviamente, ça va sans dire, nell’eseguirlo)? ''La canzone che personalmente mi diverte di più è ''SONO IL COMICO'', che non è detto sia la migliore di questo lavoro ma che delinea l’opportunismo che spesso muove molti miei colleghi, che pur di apparire trascurano qualunque etica''. Hai attraversato 40 anni di scena musicale e culturale milanese e hai lavorato con tanti colleghi importanti (Dario Fo, Franca Rame, Aldo Baglio, Flavio Oreglio, i Fichi d’India, solo per citarne alcuni). Come è cambiata la scena artistica meneghina? C’è ancora quel fermento creativo,quella voglia di emergere tipica della fine degli anni '70? La tua Milano è ancora una fucina per artisti? ''La scena di questa città cambia in continuazione, ma le cose migliori non si trovano più sui palchi di un tempo. Lo Zelig è ormai un contenitore mediatico, e molti locali si stanno trasformando verso la consumazione di una serata senza arte nè parte. I teatri raccolgono quasi solo artisti già noti e spesso respingono le nuove proposte, eppure i talenti esistono e la voglia di comunicare è più forte che mai. Però bisogna cercarla con attenzione, nei piccoli palchi di periferia, nei circoli culturali da pochi euro al biglietto, nelle serate “a cappello”, sempre più frequenti data la crisi che soffoca anche gli organizzatori più coraggiosi. Milano è una città che si reinventa sempre, ma bisogna sudarsi ogni minuto e ogni metro di palco. Non è un paese per giovani e nemmeno per vecchi, senza contare che l’Expo è una bella favola per turisti gonzi, che farà solo la fortuna dei venditori di ciambelle. Ovviamente questo è un paradosso ma, come direbbe quel furbacchione di Oscar Farinetti, “mangia che ti passa”... basta avere i soldi per pagare il conto...''. “Di solito l’attore comico è più profondo, più vicino al disordine della vita e più doloroso dell’attore tragico, cui in genere si attribuisce maggiore dignità e serietà” (Arthur Miller). Cosa pensi di questa affermazione, sei d’accordo? La malinconia fa veramente parte del DNA del comico? ''E’ la sua anima necessaria, nessun comico potrebbe far ridere se non conoscesse la soitudine o la sofferenza. E in ogni caso il vero comico non si prende mai completamente sul serio, perchè sa che la fortuna è come la luna, sale e scende... Certo, detto così potrebbe sembrare banale, ma il pubblico capisce subito se dietro una risata c’è l’onestà di una storia o di un personaggio. E se vendi fumo, vendi risate basse...''. Giangilberto Monti e gli chansonniers francesi: un forte legame, un intenso fil rouge che lega la tua musica al mondo di Gainsbourg, Montand, Brassens e Brel. Come ti sei avvicinato a questi grandi interpreti d’Oltralpe, paladini di una “Parigi irriverente e ribelle?” ''Sono le radici del nostro cantautorato, e hanno ispirato i nostri “padri fondatori”, da Tenco a Bindi e De André, ma ci insegnano anche che la tenuta scenica di un interprete si costruisce con pazienza e fatica... Che poi la loro poesia sia ribelle e irriverente è la naturale conseguenza delle loro storie di strada e del mondo dal quale provengono. I francesi la rivoluzione l’hanno fatta davvero, noi italiani l’abbiamo solo inseguita e ci siamo fermati in pausa pranzo... meno male che almeno abbiamo imparato a cucinare...''. Sei laureato al Politecnico di Milano come Ingegnere chimico. Ma la vita ha preso strade diverse e ti ha portato a calcare il palcoscenico in veste di artista. Guardando indietro nel tempo e ripensando ai tempi in cui studiavi all’università avresti mai immaginato una carriera nello show business? E del Giangilberto ingegnere,cosa è rimasto? ''Mai avrei pensato di ritrovarmi alla mia età ancora impegnato a scrivere e cantare. Però la scienza tutta mi incuriosisce sempre, e nell’organizzare i miei progetti artistici mi è rimasta una mentalità da professorino, anche se l’impressione dura poco. Comunque non rinnego nulla della fatica fatta in quegli anni, quando alternavo alle schitarrate da musicista gli studi da laureando in affanno. Chissà se in una prossima vita costruirò davvero impianti chimici nel deserto o dissalerò le acque dell’oceano, per ora ci vado da turista e, quando posso, da viaggiatore...''. Ultima domanda: che consigli daresti a un giovane che incomincia a muovere i primi passi nella musica? ''E’ la domanda più difficile... potrei solo dire che la vita non è un talent show, che l’arte non è un passaggio in televisione, e che la musica è il modo più immediato che la nostra razza ha scoperto per comunicare emozioni e storie di vita, amori compresi. Se si è onesti con sé stessi di solito funziona, ma se per caso, o per fortuna, uno scoprisse di avere un vero talento, nulla e nessuno dovrebbe fare in modo di sprecarlo. Il tempo non è infinito, anche se lo si scopre sempre in ritardo... in ogni caso, buona fortuna, buone notizie e buon proseguimento...''. Grazie per la tua disponibilità, e complimenti per il nuovo album ''Opinioni da clown''! (Veronica De Lorenzo)