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20/12/2024
04/09/2014 MATTA-CLAST
'Sperimentare è un obbligo!...'
Matta-Clast, band perugina formata nel 2006 con cinque elementi, dal 2007 è diventato un trio, ed è questo il vero anno di nascita del gruppo, con Nicola Frattegiani (voce e chitarra), Paolo Coscia (ai synth/scrotum smasher e manipolazioni) e Tommaso Boldrini (batteria/SH 101 e vocoder). La discografia precedente presenta due e.p. (''Effetti Collaterali'' del 2007 e ''De Morbo'' del 2013) più due album (''Lontano da qui'' del 2008 e ''Inferno'' del 2011), per arrivare all’e.p. ''Rotte'' del 2014. Abbiamo rivolto qualche domanda alla band per chiarire il loro punto di vista artistico. Matta, bentrovati! Parliamo subito di musica: dateci qualche info sulle vostre composizioni (natura e genesi dei brani, significati particolari, allusioni o richiami o dediche nei titoli, aneddoti, ispirazioni o quant’altro). ''Ciao Dave! Dunque, le composizioni sono collettive. Qualsiasi cosa è buona come punto di partenza di un brano: un riff, un beat, o anche semplicemente un suono che ci stimola. Di solito s’inizia con delle session e da queste si estraggono i momenti migliori, e poi ci lavoriamo per dargli una forma compiuta che abbia un senso musicale. La musica ha la priorità... un brano deve prima funzionare musicalmente, insomma si deve reggere sulle proprie gambe... solo in un secondo momento subentra la voce, con il testo che deve adeguarsi a un discorso sonoro già fatto e chiuso. Per quanto riguarda le dediche, è con “Rotte” che per la prima volta abbiamo dedicato un brano (''Polvere'') ad un nostro amico che non è più tra noi''. Diteci qualcosa sull’e.p., se avete una label, una distribuzione del disco, qualcosa sulla grafica, su concept e art work... ''Tutti gli aspetti della produzione sono nostri… non abbiamo label né distribuzione. Dato lo scarso budget a disposizione, la veste tipografica è molto, molto scarna, ma cerchiamo sempre di creare una veste grafica che sintetizzi la musica e il titolo. Nel caso di “Rotte”, ad esempio, abbiamo scelto l'immagine di una crepa su un muro, che può essere letta come una traccia, un percorso, una via tortuosa e casuale da intraprendere. L’e.p., infatti, è stato costruito come se fosse un breve viaggio… un viaggio dell’uomo scandito dalla materia''. Singolare, direi, la scelta dell’ensemble, diteci qualcosa in più... ''Non è stata una scelta: abbiamo iniziato in cinque elementi, poi ci siamo ritrovati in tre. Da lì siamo ripartiti con pazienza per capire cosa potevamo fare, che tipo di musica ci andava di fare. Sicuramente i synth hanno condizionato molto il nostro sound, e questo è stato un bene perché ci ha permesso di vedere le cose in maniera diversa, di uscire da certi schemi che ti porti dietro da quando sei un ragazzino e ascolti rock tutto il giorno''. E da bassista vi chiedo… la mancanza del basso è dovuta ad economia o filosofia? ''Abbiamo deciso di fare di necessità virtù… all’inizio abbiamo cercato un bassista, era impensabile per noi fare del rock senza basso. Ma dopo una serie di “provini” abbiamo deciso di rimanere senza, sostituendolo con i synth, e questo nel tempo ha migliorato le nostre scelte stilistiche... ma inizialmente è stata dura''. Sono curioso a riguardo della strumentazione che utilizzate: strumenti vintage e/o moderni? Gingilli elettronici? Overdub? Loop? ''Abbiamo un po’ di tutto: ampli, chitarre, sintetizzatori e microfoni vintage, ma anche sintetizzatori e batterie elettroniche di ultima generazione. Ci piace mischiare il più possibile le sonorità, ogni strumento che riteniamo valido per un brano o per un disco viene utilizzato senza considerare di quale anno è o per cosa è stato progettato: sperimentare è un obbligo! In particolare facciamo ampio uso del vocoder sulla batteria filtrato da un SH101''. Molti ascoltano musica senza soffermarsi o sapere come si è arrivati allo stadio finale. Diteci qualcosa sulla registrazione del disco: analogica, digitale, mista, mix, editing, mastering, eventuale apporto tecnico di sound engineer, tempi e modus operandi della registrazione... ''Da quando abbiamo fondato il nostro studio di registrazione, il Raw Tape Studio, tutte le fasi tecniche sono ricoperte da noi. Dalla pre-produzione alla post, dalle riprese al mix, editing e mastering. Le batterie sono incise su nastro con registratori analogici reel to reel e tutto il resto in digitale. Per ora questa tecnica mista è la più soddisfacente. Il nastro riesce a dare più calore e dinamica alla batteria, anche se con il riversamento in digitale un po’ di “ciccia” viene perduta. Poi registriamo il bass-synth, chitarre, sintetizzatori e, per ultimo, overdubbing e voci. I tempi di solito sono molto stretti (due o tre giorni) per le registrazioni, anche perché ci arriviamo sempre con le idee chiare e un buon lavoro di pre-produzione, quindi sorprese non ce ne sono mai. È il mix quello che ci ruba più tempo… è qui, che come tecnico, devi dare vita ai brani, infondere loro l’anima giusta, quella richiesta dal brano e impreziosire il lavoro con piccoli accorgimenti. Personalmente trovo la fase del mix come la più interessante e stimolante. A volte ci abbiamo messo anche un mese per chiudere alcuni missaggi''. Curiosità personale: percentuale di influenze prog anni ’70 rispetto a cose più moderne? (no-wave, post-rock o altro) ''Siamo distanti come gusti dal prog anni ’70. Sicuramente ci sentiamo più influenzati dal post-rock, non solo e non tanto come sound ma come atteggiamento: parità di tutti gli elementi in gioco e forme libere svincolate dalla forma tradizionale delle canzoni. Diciamo che, se dovessi dare delle percentuali, direi un 40% rock classico anni ’60 e ’70 e il restante alle musiche più moderne, saltando completamente gli anni ’80 e soffermandoci parecchio sui ’90. Il nostro primo amore musicale rimane comunque il rock.., Anche se, con il tempo, gli ascolti si ampliano, rimane sempre il rock la musica con la quale puoi esprimerti in modo viscerale e passionale, insomma autentico. È la musica dell’anima, per dirla con altre parole, quella che ti porti dentro sempre e ovunque''. Improvvisazione e scrittura: un vostro pensiero a riguardo, e se implementate nella vostra (bella) musica anche parti improvvisate... ''Tutto inizia con l’improvvisazione. È con le session che produciamo tutto il materiale. Considera che, con una sola session di circa due ore, ci è capitato di produrre idee sufficienti per un’intera pubblicazione, come è accaduto con “De Morbo”. Poi subentra un lavoro di selezione, limatura e arrangiamento. Da qual momento l’improvvisazione è completamente bandita, una volta chiuso un brano ogni nota è fissata e non si cambia''. Un vostro commento sulla musica “strumentale” rispetto alla “canzone”? ''Siamo molto più propensi per la prima, anche se abbiamo scritto e sicuramente scriveremo canzoni, diciamo, con una forma tradizionale. Quello che ci attira di più della musica strumentale è la totale libertà che ti concede, la possibilità di creare strutture complesse, di offrire dimensioni sonore completamente svincolate dalle parole, che spesso ti portano verso forme abusate e logore''. Trovo la vostra musica molto suggestiva, qual è il vostro rapporto con le arti visuali (cinema in primis)? ''Direi ottimo. Il nostro sogno sarebbe quello di scrivere colonne sonore per film. Data l’importanza che la parte strumentale dei nostri brani ricopre rispetto alle parole, lo sbocco naturale è proprio l’interazione con le immagini. Spesso abbiamo sonorizzato dei corti, sia del cinema muto che attuali. E da poco ci stiamo addentrando nel mondo dell’elettronica pura e del mapping… penso che ne verranno fuori cose davvero interessanti''. Leggo nel vostro comunicato stampa la parola “autarchia” riferita alla produzione. Filosofia DIY (do it yourself) o voglia di autonomia a tutti i costi? ''Nessuna delle due. Siamo stati costretti a questa autarchia, è l’unico modo di continuare a produrre musica senza spendere soldi, che non abbiamo, e gestire il tempo come si vuole (e ti assicuro che questo è un grande privilegio)''. Ci sono aspetti socio-politici nella vostra musica? ''Assolutamente no. La musica ha assoluta preminenza sulle parole, il cui unico scopo è offrire sensazioni, immagini visive che ognuno si può creare a suo piacimento...''. Un vostro pensiero sulla scena musicale indie italiana, se ce n’è una... ''In Italia c’è un buon movimento musicale, con molte, ottime band e professionisti del settore. Ma più che di ''scena'' credo che si debba parlare di “scene” musicali. Le proposte sono davvero molte e interessanti. Ci sono vari filoni che si possono identificare nel panorama italiano, ma anche innumerevoli “mosche bianche” che fuoriescono del tutto da qualsivoglia corrente. Quello che non ci piace è la gestione un pò provinciale del sistema indie in Italia, e per gestione intendo tutti gli attori che ruotano intorno al settore: titolari di label e booking, uffici stampa, gestori dei club, redazioni delle riviste e organizzatori di festival. Sentiamo che c’è chiusura, quasi fosse una strana lobby nella quale o sei dentro o sei fuori. Ed esserne fuori significa fondamentalmente non esistere. Ma questo credo che valga per ogni tipo di mercato, anche se piccolo come quello indie''. Parliamo di futuro, cosa avete in serbo? Cosa vi aspettate dalla vostra musica? Dateci qualche info sulla vostra attività live e sul vostro futuro artistico... ''Non ci aspettiamo nulla. Sappiamo che la nostra musica non è particolarmente fruibile (ma nemmeno così ostica), e non abbiamo mai suscitato l’interesse di nessuna label o booking, e senza un supporto manageriale è difficile ampliare il proprio pubblico, ottenere un buon numero di date e, insomma, far sì che la propria musica giri il più possibile. In ogni caso continueremo a fare la nostra musica fino a quando sentiremo di avere qualcosa da dire! Fare musica è per noi una necessità, un’esigenza che non possiamo sopprimere. Ora stiamo preparando un album di circa dodici tracce. Nel frattempo ci dedichiamo anche alla scrittura di musiche per spettacoli teatrali e sonorizzazioni di corti. Per il futuro speriamo di entrare nel rooster di qualche booking e girare un po’ l’Italia!''. E anche l’estero direi! Salutoni e in bocca al lupo, dunque. Che Matta-Clast possa avere lunga e feconda vita! (Davide Penta)