ALBERTO CANTONE  "L'invettiva dalle città perdute"
   (2023 )

Chissà quanti segreti nasconde ancora il passato, e quante rivelazioni possono ulteriormente emergere rispolverando la voglia di attingere dai vissuti di civiltà e città per svelarne angolature inedite ed interessanti.

Si direbbe che, di solito, spetta ai storici o agli archeologici il compito di ricerca, però può sfuggire che tale possibilità se la riservi anche il polistrumentista Alberto Cantone che, nel suo mondo, contempla anche un multi-ruolo da speaker-radio, direttore artistico di Live-show, producer di talenti in erba e operatore culturale.

Insomma, un background che già fornisce ampie garanzie sullo spessore del Nostro, che giunge al quinto album in carriera con “L’invettiva dalle città perdute” e con il quale s’inventa la possibilità di ricorrere alla nostra memoria storica di città antiche come Babilonia, Tebe, Pompei, Alessandria ecc. per innestare un miscelato di testimonianze che possono risultare utili ai giorni nostri.

E’ logico che vige una densa immaginazione ma poi, quel che viene presumibilmente dedotto, si avvicina molto a preziosi suggerimenti per il nostro vivere odierno. Un disco che non è certo assimilabile nell’immediato ma che, però, merita quell’attenzione in più che generalmente tralasciamo in molte occasioni.

Inoltre, cinque anni di lavorazione non sono un dettaglio trascurabile, visto che di carne al fuoco ce n’è in giusta abbondanza, con 15 brani forgiati con attenzione certosina da parte di Alberto ma anche dal duo-producers Loris Furlan ed un certo... Edoardo De Angelis, storico cantautore romano non valorizzato mai abbastanza come meriterebbe.

Appena Cantone svela l’opera con “Tebe”, “Troia” e “Pompei”, la sua voce invettiva lambisce quella di De Andrè ma, di ciò, chi si lamenta? Signori, non si parla di smaccata emulazione ma, piuttosto, di un narrare spontaneo, deciso, riflessivo ed induttivo, che gli esce con purezza assoluta, svincolato da furberie descrittive e che mira, unicamente, alla rievocazione delle suddette città (direi) smarrite, più che perdute, in quanto non si sono mai perse nella nostra memoria ma tornano con fascino intatto.

La fantasia è al servizio di una presa di coscienza che deve essere adottata in tempi brevi, per renderci conto di quanto siamo indietro rispetto a certe civiltà antiche, che tanto ci possono continuare ad insegnare. In ogni modo, deliziandoci del parco-strumenti sfoggiato da Alberto (tra i quali ukulele, chitarra, mandola bouzouki, armonica, cembalo ecc.) ci gustiamo episodi come “Le mura veneziane”, “Amerigo”, “Coventrizzazione” o “Alle canzoni dei vent’anni” con la piena consapevolezza di approcciarsi con un artista raffinato, colto, dedito ad un’altissima ricerca culturale e che ha saputo, con “L’invettiva dalle città perdute”, ri-estrapolare spaccati di storia con animo attento, curioso ed arguto, decifrandoli con aspetti “laterali”, insoliti, tra tipico cantautorato e lodevole avanguardia.

Ne passerà di tempo prima che transitino altri lavori di questa portata, perché non basta solo l’aspetto musicale: qui c’è un caleidoscopio di risvolti fantasiosi, culturali e “didattici” che nemmeno professori incalliti sarebbero in grado di insegnare con metodi magnetici. La Storia (come l’ha spiegata Cantone) trasforma una materia notoriamente ostica a tanti, in immediato interesse totale. (Max Casali)