SAMO KUTIN & PASCAL BATTUS  "Living bridges"
   (2023 )

Chi si somiglia si piglia, dicono. E infatti, avevamo incontrato tempo fa Pascal Battus, con le sue superfici rotanti, sulle quali strofinare oggetti e strumenti in maniera non convenzionale. Avevamo conosciuto un album fatto di soli piatti strofinati (http://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=9135) e, adesso, Battus collabora con il polistrumentista sloveno Samo Kutin. Il suo strumento principale è la ghironda (hurdy-gurdy), e però come Battus, il suo strumento a volte perde la propria connotazione, e non si sa cosa si stia ascoltando. Anche Kutin fa uso di stupefacenti sistemi per la risonanza acustica (che avevate capito?), e così entrambi si divertono a far roteare oggetti, prestando estrema attenzione al dato timbrico, alla qualità del suono che ne esce.

“Living bridges” è questo, un album che indugia sul rumore, dialogando con il silenzio. A volte si sentono flebili ronzii, a volte drone ambient carichi di boati microfonati ed amplificati. Tra rumori di tornio e segatura rimbombante, nel brano “Prišleki” la ghironda si fa riconoscibile, per un istante. Le tracce sono quasi tutte di durata dai 10 ai 14 minuti. In “Diwan To... Diwan Za”, gli arnesi sembrano fare le fusa, per un attimo. Salvo poi trasformarsi in sibili di difficile sopportazione. Ma in “Mycorrhiza”, dissimulato dal rumore, c'è una ricerca di tessitura orchestrale, con questi strumenti. Tessitura che tiene finché viene pesantemente distorta.

E boh, che dire, lo sperimentalismo è estremo, qui. Viene meno anche il dato di ritmo e percussione, per far spazio a un'esperienza non convenzionale. La domanda che continuo a pormi è: perché? Semplice: perché la sperimentazione è essa stessa una forma di musica. Non convenzionale, certo, ma pur sempre musica. (Gilberto Ongaro)