ZAGARA "Duat"
(2023 )
Uao, per gli amanti della psichedelia, e delle situazioni surreali, qua siamo a casa! Gli Zagara sono una band psych rock, che mescola chitarre distorte a sequenze elettroniche, a volte alternate a volte insieme, facendo anche largo uso del pianoforte, Moog, e il batterista utilizza campioni sintetici, accanto alla batteria acustica. La musica quindi presenta sia momenti ad alto volume, che passaggi sussurrati, come all'inizio di “Illuminami”.
Uscito per Overdub Recordings Label, l'album “Duat” si ispira alla cultura dell'antico Egitto; essendo torinesi, gli Zagara devono essere appassionati del Museo Egizio! Lo stesso termine “Duat” che dà titolo all'album, indica l'oltretomba. E la prima canzone, “Maat”, indica con questo nome la dea della giustizia, che pesa l'anima dei defunti con la famosa piuma sulla bilancia. Collegandosi a questo, il brano successivo si chiama “Quello che ha un peso”. E lo sguardo è tanto profondo quanto visionario: “Qual è la natura dell'armonia? Io la scopro composta da rumore per lo più. Ma com'è lontana, non si può vedere, irraggiungibile. (…) Le sovrastrutture, le volontà, ciò che serve, soltanto qualche errore”.
Più graffiante il sound di “Se ha fame”, brano più agitato, dove la voce spinge fino a distorcere. Un minuto e mezzo di noise sperimentale forma “Apophis”, per poi entrare in “Pezzi di ossa”, brano dove il pianoforte la fa da padrone, con i suoi appoggi bassi, finché non si avvia una sorta di “subsonicheria”, con arpeggi alla Fred Boosta e basso pulsante.
“Il giardino dei Tarocchi” può riassumere in sé lo stile della band: sequenze di accordi luminosi “magici” (ad esempio, suonate a ripetizione sol maggiore – mi maggiore), refrain distorti belli forti, e parole oniriche: “Voglio un mio mondo dove forme e colori si fondono riflessi di specchi, vivono per trovare vera pace nella mia imperatrice, via dalle folle. Disegnerò col tratto dell'inconscio, la mia papessa guiderà la mia scelta, proprio come l'impiccato, vedo il mondo al contrario, sarò il mio mago”. “Amnesia” dialoga col silenzio, mentre la voce riflette: “Nulla si può risolvere, tutto si può dimenticare. Il nulla è nero, ma il tutto è limpido. A volte mi fai questo effetto, e non è sbagliato”. Poi il brano deflagra.
I suoni elettronici del batterista li sentiamo nella suggestiva “Sole e limo”, dove il pianoforte dondola sui cromatismi, le parole ci evocano un ambiente inquietante: “Ora fuggo, ma tutto intorno è un fondale di limo, su cui mi incollo, ma la mia mente esonderà, sprofonderà”. Il brano sembra tranquillo e calmo, salvo un finale a sorpresa super saturo, urlato ed inquieto: “Si annienterà, non sopravviverò!”.
Chiude questo disco “Lago”, eh scusate se devo dire un'altra cosa tecnica, ma è lì che ci stanno le perle: questa canzone si sorregge su una sequenza di due accordi entrambi minori e distanti un tono e mezzo (ad esempio, suonate fa minore – re minore). Al contrario de “Il giardino dei Tarocchi”, questa scelta dà un tono oscuro, cupo al brano, dove la voce passa al recitato. Al posto del limo ora troviamo l'oro blu: “Sommerso, sono sommerso nella massa interminabile d'acqua, e lì sto sereno, cullato dalla corrente”. Sereno solo all'inizio, ma da metà canzone, la voce urla continuamente di “NON AVERE PAURA!”. La tensione è palpabile, rafforzata dal costante scrosciare dei piatti della batteria.
Se non l'avete capito ancora, questo disco mi è piaciuto proprio, anche come ascoltatore, oltre che come recensore. Si fa fatica a restare freddi e distaccati, con queste scelte estetiche ben ponderate, tra rumore ed armonia! Direi che la ricerca dell'equilibrio, dichiarata nel brano “Maat”, sia giunta a buon fine! (Gilberto Ongaro)