NERO KANE  "Of knowledge and revelation"
   (2022 )

Ogni volta che ascolto un nuovo disco di Nero Kane, mi pongo delle domande.

Mi chiedo, ad esempio, se sarà mai possibile che Nero Kane realizzi un brutto disco.

Mi chiedo se e cosa si possa dire di nuovo su Nero Kane che non sia già stato detto.

Mi chiedo se deciderà mai di cambiare rotta, registro, orizzonti, forzando nella sua musica crepuscolare elementi di rottura, o se continuerà imperterrito a preservarla in purezza, dispensando sepolcrale arte minimalista con quella medesima profondità che lo ha reso un piccolo grande modello di intimismo noir, così meravigliosamente raro chez nous.

Mi chiedo se finalmente critici, personaggi austeri e militanti severi si siano davvero accorti di lui, tra “Love in a dying world”, esordio datato novembre 2018 e primo manifesto della sua raccolta maestria, e questo “Of knowledge and revelation” (pubblicato per la romana Subsound Records, con la produzione di Matt Bordin), che arriva a due anni da “Tales of faith and lunacy” e che lo ripropone in una versione ancora più esangue, diafana, eterea.

Mi chiedo parimenti quante altre volte, di fronte ai sei, sette, otto minuti di brani che sono altrettanti requiem intonati ai faithful departed, toccherà imbattersi nell’oramai inflazionata definizione di psych-dark-folk e negli abituali paragoni – pienamente calzanti, sia detto - con Cave e Lanegan, o per quanto ancora Samantha Stella verrà accostata a Nico, prima che qualcuno riesca ad arricchire di nuove sfumature il suo ruolo di musa, di vestale, di artefice stessa del culto.

Mi chiedo se la prodigiosa alchimia tra l’animo crepuscolare di Nero Kane e l’aura fatata di Samantha Stella sia destinata a preservare quella cristallina, rarefatta perfezione raggiunta nell’arco di tre album così mirabilmente sfuggenti, eppure toccanti, sovraccarichi di un’intensità strabordante.

Mi chiedo come possano un synth, una chitarra e due voci costruire questa cattedrale di suono apparentemente fragile, fondata su un’essenzialità compositiva che sa farsi imponente, mentre avvolge tra le spire di un esistenzialismo tesissimo, ma amorevole. Un amore sempre letale, immancabilmente declinato in tonalità minori, figlio di tessiture che eleggono la circolarità a canone, brani ipnotici che inghiottono in un abbraccio mortifero, infido, a tratti raggelante, espressione di un cordoglio che arranca sofferente, inanellando senza sosta sequenze ininterrotte di accordi, frasi, figure.

Mi chiedo quali demoni abitino i pensieri di Nero Kane e Samantha Stella, spiriti inquieti condannati forse ad un eterno aleggiare a mezzaria, spettri in cerca di pacificazione che vagano turbati tra l’arpeggio afflitto di “Lady of sorrow” ed il commiato chiesastico di “Sola gratia”, emblema di una religiosità indefinita, sublimata da vocalizzi ieratici in lento crescendo, rito sacrificale o innodico salmodiare.

Mi chiedo se sarò ancora io – chissà quando – a vergare su queste stesse pagine le prossime lodi di Nero Kane, bardo oscuro e dimesso, che in punta di chitarra elettrica, su un tappeto di synth dal fascino antico, misterioso e attraente come un plenilunio, continua a disegnare i suoi arabeschi, a tessere la sua tela, ad intonare la prossima funerea litania nel consueto crooning compassato, voce prestata alle tenebre.

Mi chiedo se davvero domani verrà giorno, o se in fondo tutto quanto sia soltanto una lunga notte dell’anima, mentre fuori un’alba effimera ti accoglie ingannevole. (Manuel Maverna)