FABRIZIO TAVERNELLI  "Algoritmi"
   (2022 )

Concept complesso sul brutto poter che sono i numeri, sovraccarico di contenuti, riflessioni e provocazioni veicolati da una varietà musicale a tratti perfino ubriacante, “Algoritmi”, è il sesto album di Fabrizio Tavernelli, figura eminente del fu indie nostrano, prima nel progetto En Manque D’Autre, poi negli AFA ai tempi d’oro del C.P.I.

Da oltre vent’anni libero di vagare tra arti varie, affrancato da qualsiasi giogo eventualmente imposto da discografici, tempi e scadenze, pubblica per la sua etichetta Lo Scafandro dodici tracce corpose e ondivaghe, altrettanti trattatelli che spaziano da uno sghembo cantautorato off ad una colta autorialità declinata in forme imprevedibili.

Il risultato sono sessantacinque minuti impegnativi, densi come yogurt greco, intelligenti e disallineati, intrisi di cultura affatto spicciola e non privi di humour sardonico (la disco frenetica de “Il bagno e l’antibagno”), rigonfi di idee e filosofia scomoda, percorso arduo che spazia con nonchalance da “Algoritmo stocastico” - articolata opener à la Ottodix - al falsetto per pianoforte e interferenze de “L’angelo del focolaio”, che – maestosa - chiude il discorso in bilico su molti dubbi e ben poche certezze, in un registro che mischia Manuel Agnelli e Alessandro Fiori.

Nel mezzo, lo sketch sovraesposto di “Braghetta digitale”, che gigioneggia folle e delirante per sei minuti elencando opere d’arte censurate-censurabili dall’algoritmo di controllo dei social media, tra echi avant, free jazz, vaudeville e sbavature noise; il collage citazionista della martellante “Impantanato nel Vietnam”, un po’ Giovanni Succi, un po’ Ferretti/Zamboni; la suadente, carnale intensità di “Fallibili” col suo flamenco gentile; la profondità intima e sofferta de “Il lupo e lo sciacallo”.

Cosa brami essere “Algoritmi”, se sfaccettata pièce surrealista o disincantata analisi sociale, questo è il dilemma; forse è entrambe le cose, forse nessuna, forse soltanto il parto di nuvole pesantissime che gravano minacciose e incombenti sulle nostre povere teste. Ostico, impervio a tratti, ben poco accomodante, nonostante qualche gentile concessione all’uditorio.

Zero compromessi, poca lievità spesso mascherata, molta carne al fuoco. Gran bel rebus. (Manuel Maverna)