VINCENZO INCENZO  "Zoo"
   (2022 )

Il nuovo album di Vincenzo Incenzo porta un nome che solo alla lontana apparenza può sembrare un tantino pretestuoso. Invece ''Zoo'' raffigura lo spaccato della società del disagio, delle indifferenze e delle presenze di comodo, della sofferenza anonima confinata sul selciato di una strada e di quella che reca il nome per unico fine di compiacimento della massa.

Le dieci tracce che Incenzo, innumerevoli collaborazioni al fianco del grande Renato Zero, ha compreso in questo disco di straordinaria valenza, vedono l'artista creare al pianoforte, fonte di ogni sua idea musicale, rifacendosi anche ai precedenti due album editi, in modo particolare ''Ego'': ora si conosce emotivamente la scoperta e si giunge alla sintesi del cammino svolto tre anni prima, ed il progetto ha privilegiato il pianoforte e voce in luogo della altrettanto familiare elettronica, arrivando ad un quid specifico nel quale i versi di ogni brano divengono più fattivi ed i discorsi avvolgenti al di là della forma o delle forme letterarie e delle forme poetiche.

Si avverte una presenza corposa degli pseudo rap, in primis quello molto brillante di ''Pornocrazia'', tra i brani che fanno da impalcatura al disco: una lunga intro tutta techno per spiegare la drammatica realtà in cui siamo finiti adesso, dove il principale obiettivo non è la ricerca della ragione ma il volere avere ragione ad ogni costo e non importa servendosi di quale mezzo. Afferma Vincenzo Incenzo: "Questa non è una canzone, ma un grido che diventa opinione". Lo pseudo rap che in parte avvertiamo e cogliamo anche in "La tua rivoluzione" può essere anche la pagina di un diario che racconta cosa sta accadendo, le testimonianze raccolte e rivelate con l'obiettivo di potere cambiare il pensiero del mondo. Magari, provarlo a cambiare, è più facile.

Recita il testo di ''La tua rivoluzione'': "Le conchiglie lasciate dalla tempesta sono le stesse che permettono di sentire il mare. Un giorno si alzerà la tua canzone e la gente capirà la tua rivoluzione". C'è un senso in fondo alla storia se si riesce ad esprimere un pensiero e Vincenzo Incenzo lo esprime nel verso più profondo e bello del testo di questa canzone: "La rivoluzione è essere calpestati e andare fieri, che l'erba calpestata è già un sentiero".

Piedi che sono suono e testa che vuole essere azione, quella che dipinge ''Pornocrazia'' non è che la pietra d'angolo di un percorso di analisi che entra dalla porta principale nel tema della solitudine interiore, che sorregge una disperata invocazione: "Mi devi prendere perché non avrò un'altra occasione, puoi anche ridere di me e della mia disperazione, ho bisogno di qualcuno che mi possa perdonare" scrive e recita Incenzo.

Balza vivo il fantasma di una solitudine non letta negli sguardi e nell'anima, cui però la difesa approntata è soltanto quella di nascondere con cinica finta pietà il disperato tentativo che ha la gente di cercarsi. Soffusa elettronica e contributo di percussioni studiate sullo sfondo per leggere un anno in pena con lei che era il solo senso ai tuoi giorni. E Vincenzo ribadisce: "La bellezza fa così male da non riuscire ad accettarla".

Torna il pianoforte sognante ad introdurre ''Povero tempo''. Una critica ad angolo giro che ciclicamente non risparmia la contemporaneità stravolta dalla tecnologia, le pareti divisorie che allargano le forbici degli emarginati, dove nessuno vede e sente. Il tempo del quale si sono impadroniti in maniera totale e totalitaria i domatori, gli attori del sistema, che rivolgono lo sguardo in una sola direzione, la landa desolata priva di bandiere, ma ricca di bocche da sfamare e suppliche alla morte.

Toni fortissimi in ''Non è vero'', e la condanna al sepolcro imbiancato ammannito dal sopraccitato sistema esplode in un j'accuse catartico che abbraccia distorture mediatiche, macchinazioni subdole nel libero mercato, numeri manipolati sulle migrazioni, i femminicidi, i morti per pandemia. Ecco quel conflitto che all'orizzonte addensa le tenebre, eppure il mondo non condanna gli orrori della guerra ma si limita a un glaciale diniego.

In "La risposta che tu chiedi" è contenuto l'antidoto al facile giudizio sminuente. È più semplice una critica feroce che non un pensiero costruttivo, ma allora interroghiamoci e domandiamo: scegliere se stare in piedi, cadere oppure vivere. Anche se non si ha nessuno accanto, la risposta cercala da te senza attendere l'aiuto di nessuno.

L'introspezione del pianoforte di "Non c'è una fine" narra, nelle parole di Vincenzo Incenzo: "Di cose che non sei e che non nascondo dentro me, l'ho fatto per non impazzire e continuare a vivere. Dovunque andrai, mi troverai, la promessa di continuare. Forse non c'è un fine, mai". La corale de "L'angelo del Cash" urla al dolore senza legge, al chiudere il libro prima di averti guardato in faccia, condannandoti se sei tanto, troppo innocente, allo Stato che segrega a scopo precauzionale.

''Ciao repubblica'' (il quarto dei rap ad argomento dedicato al disorientamento giovanile) è il mosaico in cui è possibile osservare tutto quello che resta e dove possono ritrovarsi anche gli altri, ognuno capace di formulare una lettura diversa dei fatti. Chiude l'album il toccante omaggio a Sergio Endrigo con "Altre emozioni", cantata anche in duetto con Sergio Cammariere ed una delle più grandi composizioni di Vincenzo Incenzo, autore che ha tra l'altro scritto anche "Cinque giorni" e "L'elefante e la farfalla" per Michele Zarrillo. (Leo Cotugno)