CLAUDIO FILIPPINI  "Filippismo"
   (2022 )

Lungi da me l'intenzione di voler fare una filippica verso il "Filippismo" di Claudio Filippini... Giochi di parole a parte, per onestà intellettuale devo rimarcare subito che questo disco non incontra il mio favore.

In questi casi di solito ci si trova ad ascoltare attentamente da due punti di vista differenti la proposta musicale. Eh... sì, perché il pescarese Filippini appartiene indubbiamente a quella schiera di valenti pianisti jazz che in Italia grazie al cielo non mancano (il sempreverde Stefano Bollani, Federico Frassi, Giovanni Guidi per citarne alcuni...). Li riconosci per il "tocco", il fraseggio, gli accordi... per questo ti arriva Chick Corea e lo distingui da Keith Jarreth...!

Le opere precedenti e le notevoli collaborazioni realizzate negli anni dall'artista abruzzese ne sono una evidente prova (Mike Stern, Palle Danielsson, Mario Biondi fra gli altri...), nel 2004 inoltre ha formato un notevole trio jazz assieme al bassista Luca Bulgarelli ed al batterista Marcello Di Leonardo peraltro accreditati in alcuni brani di questa produzione.

Dal punto di vista del talento individuale del musicista quindi la considerazione è rilevante... Filippini però, in questo caso, inopinatamente smette le vesti del pianista jazz per cimentarsi (first time ever...) in un ruolo più ampio, componendo, arrangiando e producendo nove brani del disco ed inserendo anche una cover: ''Lush Life'' di Billy Strayhorn.

Da questo secondo punto di vista, anzi di ascolto, mi arriva presto la sensazione che siamo in presenza di melodie e fraseggi di pianoforte collocati in "tappeti" sonori dove sintetizzatori ed elettronica sono in evidenza assieme alla gradita presenza in acustico di basso e batteria in alcuni episodi. Ogni brano esprime differenti mood sonori con frequenti variazioni ritmiche a volte accostabili al funky, al prog, al jazz, al sinfonico... emerge un che di discontinuo e contrastante all'interno anche degli stessi titoli in ascolto... ciò peraltro mi desta un certo fastidio dato che sono ricorrenti frasi musicali in "ostinato" e soprattutto timbriche elettroniche e percussive a mio parere troppo artificiali ed acusticamente "piatte", oltre a finali tronchi che io non prediligo.

Tale condizione mi rimane durante l'intero contenuto musicale prodotto, salvo qualche sprazzo di apprezzabile prog-jazz con tempi veloci di basso e batteria nei brani n.4 ''Rebirth'' e n.6 ''Scappiamo insieme''. In ''Sun Village'' (terza traccia) ad esempio l'effetto "macchina da scrivere" si sente tutto, la melodia non regge ed il sollievo al termine del breve minuto e 54" emerge... In ''Flower Power'' (n.5) mi chiedo perché calcare così sugli accenti del battere... ma qualche controtempo no...? Il sinth anni '80 non aggiunge nulla se non echeggiare vagamente Stevie Wonder.

Altri episodi particolarmente indigesti mi rimangono la traccia 7 ''Tu'', dove il buon tocco pianistico iniziale viene mandato in una sorta di loop con irritanti piatti "splashati", e la traccia finale ''H.J'' dove i Kraftwerk bambini devono essere apparsi in sogno. Non condivido. Voto 5/6. (Roberto Celi)