ZEN MOTHER "Millennial garbage preach"
(2022 )
Quello rappresentato in “Millennial garbage preach” dagli Zen Mother, duo newyorchese al terzo album per Weyrd Son Records, è una sorta di subdolo pop deviato 2.0, la cui superficie appare tuttavia increspata da una serie di disturbi sparsi ad arte per creare uno straniante mood psych lungo i labirinti mentali di sette tracce ondivaghe e sfuggenti.
Inafferrabili nei loro percorsi tortuosi alla stessa maniera del finto pop delle Warpaint, i brani creano abilmente un clima di tensione trattenuta e di rado rilasciata; trentotto minuti da accogliere in blocco nella loro elegante alterità, mirabilmente condotti per mano dalla vocalità suadente di Monika Khot e dalle trame infide di Adam Wolcott Smith tra l’art-rock sui generis dell’opener “Henri Matisse” e le cadenze sinistre ed incombenti di “Sleep” e “Order”, entrambe votate ad un martellamento incupito che ricorda le arie più fosche del compianto Dan Sartain.
Venato di suggestioni jazzy (“Lil Jesus”) e di divagazioni sottilmente cervellotiche, l’album oscilla sì tra echi di un passato antico in zona This Mortal Coil/Siouxsie, ma si aggiorna a sonorità prossime alle contorsioni dei Soft Grid, accostando elettronica e avanguardia in un milieu raffinato che intelligentemente maschera la propria indole ostica e colta dietro il paravento di una fruibilità solo apparente.
E’ un continuo promettere-e-rimandare che si crogiola in una ostinata incompiutezza, quella che regna sovrana nei sei minuti della conclusiva “The fugitive”, partitura capace di flirtare scopertamente con derive avant mentre dispensa il suo ritornello con assoluta nonchalance, lasciando ad aleggiare a mezz'aria un’atmosfera indefinita, carica al contempo di fascino e di incertezza. (Manuel Maverna)