WOLFGANG FLUR  "Magazine 1"
   (2022 )

In un mondo di Ralf e di Florian io sono Wolfgang Flür, potrebbe dire lui che nei Kraftwerk era forse il quarto degli altri due, con Karl Bartos a fare da cuscinetto. E che, fuoriuscito dal gruppo dei robot, ha passato questi decenni a pascolare il suo mito, con una autobiografia con qualche (qualche, eh) venatura polemica e una discografia comunque scarna e desiderosa di provare a unire l'elettronica di un tempo con qualcosa di maggiormente umano.

Una specie di musica per robot innamorati, era stato detto in altre occasioni, senza però trovare davvero una quadratura del cerchio che gli evitasse un declassamento - se di declassamento si può parlare - in una sottospecie di musica da lounge bar priva di quel genio, o anche solo di quel tocco, che aveva reso i Kraftwerk quello che erano stati, nel bene e nel male. Perdendo così, se vogliamo, il derby con Bartos e le sue, di uscite soliste.

"Magazine 1" cerca di fare blandamente pace con il proprio passato e di far riavvicinare all'ormai ultra settuagenario batterista - a modo suo - del quartetto tedesco. Ritrovando maggiormente le sonorità familiari ("Zukunftmusik" potrebbe stare benissimo, con tanto di vocoder, in "Electric cafè"), avvicinandosi a qualcosa di un po' più commerciale con interessanti collaborazioni ("Das beat" con Midge Ure ma, soprattutto, "Birmingham" con Claudia Brucken e Peter Hook) e, insomma, anche se rimangono un po' di passaggi a vuoto fatti di scolasticità svogliata ("Night drive" ed "Electric sheep" si trascinano un po' troppo), qualcosa da ascoltare c'è.

Poi è chiaro che si rimane nell'ambito della musica specifica per gusti specifici e adatta solo a chi tanto tanto tempo fa sentiva i brividi all'udir di "Computer liebe" e affini. Ma d'altra parte a quel tipo di pubblico questo tipo di prodotto è orientato, e allora un briciolo di attenzione lo merita. Però rimane il senso di un qualcosa che, alla fine, ti fa cercare il tasto skip o comunque il passare avanti: difficile capirne il perchè, ma forse perchè, appunto, alla lunga sembra un lavoro fatto con il pilota automatico. D'altronde, non si sta parlando di robot? Ad ogni modo, provatelo, anche solo per riassaggiare un pochettino le antiche atmosfere. (Enrico Faggiano)