LALLA BERTOLINI "La terra liberata"
(2022 )
Visionaria e disallineata, distante anni luce sia dall’idea di cantautorato più mainstream sia dalle derive modernistiche imposte al ruolo, Lalla Bertolini è un’artista romana che ha attraversato in punta di piedi gli ultimi vent’anni armata di una sua idea tutta personale di come rendere unico ed irripetibile il proprio approccio alla materia.
Protagonista defilata ma caparbia di una lunga stagione di concerti e partecipazione a rassegne, in veste di solista o affiancata da altri musicisti, ha sonorizzato poesie di Emily Dickinson e riletto De Andrè, ha organizzato concerti e scritto canzoni, dando alla luce “Lo straniero”, tardivo debutto discografico, nel 2019: ventitrè minuti per voce e chitarra, otto brani declinati in un crooning diretto e frontale, senza fronzoli o arzigogoli.
Nessun ricamo, nessuno svolazzo, ma la consueta concretezza fatta di parole pesanti e di una tendenza a preservare la scarna essenzialità del mood generale sono i tratti distintivi del nuovo “La terra liberata” (pubblicato per la ferrarese New Model Label), che riprende sì lo stesso copione dell’esordio, ma risultando ancora più centrato, intenso e maturo.
Supportata per l’occasione da una band al completo (Giannantonio Rando al contrabbasso, Simone Di Donato alla batteria, arrangiamenti di Carlo Melodia), Lalla si mantiene passionale ed appassionata, intima e viscerale nel suo modo umorale e crudo di interpretare questo pugno di canzoni tra strada e sogno: ancora otto episodi per ventiquattro minuti, pezzi recenti e non a braccetto in un piccolo prodigio di profondità autoriale sui generis, un misto tra la Lilith periodo Sinnersaints, Patti Smith e il nume tutelare Nada.
Nel suo stile vocale volutamente ruvido che non cerca a forza il bel canto, prediligendo altresì un taglio spartano e privilegiando la potenza espressiva della parola in sè, Lalla declina l’afflitto affresco in minore dell’opener “L’onda del mare” – vicina a Giancarlo Onorato o Cesare Basile – e la robusta cadenza de “Il fuoco”, la ballata squadrata e amara di “Canzone dell’adolescenza” ed il prezioso intarsio folkish a due voci (con Franco Pietropaoli) di “Chiaroscuro”.
Vertici dell’album i due minuti e ventisei secondi di “Sogno di New York”, impreziosita dal contrappunto del clarinetto di John Madge e così spiritualmente affine alle atmosfere del Notturno Americano targate Clementi/Nuccini/Reverberi, e i due minuti e sedici secondi in punta di chitarra della conclusiva “Da Simone a Leone”, dialogo solo immaginato tra Simone Weil e Lev Trockij in occasione del loro breve incontro avvenuto negli anni ’30.
E’ il suggello ad un lavoro che riesce a condensare negli angusti limiti della sua breve durata tutta la magia di un’interprete a sè, narratrice di scenari intrisi di una malinconia al contempo dolce e antica, sospesa su un sottilissimo filo tra luce ed ombra. (Manuel Maverna)