HELLEPHANT  "Leviatano"
   (2021 )

La prima parola che mi viene in mente dopo i primi minuti d’ascolto di questo lavoro dei grossetani Hellephant (più esattamente sono di Monticello Amiata) è “aggressività”.

Anche se il nome della band e l’attitudine delle loro composizioni è il racconto a sfondo sociale (sarebbe meglio dire di rivalsa sociale), la musica è dominata da chitarre distorte, nervose e taglienti. Loop psichedelici e ossessivi stanno alla base di un modo d’intendere la comunicazione artistica disturbante, incubi sonori che urlano vendetta o comunque un grido di guerra contro le ingiustizie e le ghettizzazioni.

Se fosse una foto sarebbe una polaroid, dai colori marcati ma squilibrati e decisamente sfuocata. Un modo comunque d’intendere e di esprimersi con un post rock del tutto anomalo e contaminato sludge, ma per essere una band italiana non è assolutamente una sorpresa. È infatti provato, in risposta ad uno stereotipo negativo ed abbastanza noto oltre confine, che l’italiano è in generale una persona ricca d’ingegno e fantasia. Applicato al rock, è probabile che ne esca fuori una band come Hellephant, con tanto di didascalìa filosofica a supporto di un nome e di una musica apparentemente strampalati.

Cosa potrebbe uscire da menti come queste? Senza dubbio un lamento metallico come ‘Caleidoscopio d’inquinanti’ per esempio, caratterizzato da un chitarrismo che sconfina nel downtuning per picchiare con riff malati ed inquietanti. Non so se sia spiegabile con un sbrigativo “malessere del vivere”, ma questi quattro ragazzi sono decisamente devastanti, sparando riff a ripetizione quasi a voler ribadire che in quel momento musica e rumore sono alleate per combattere un nemico comune, quello di una società, la nostra per esempio, pericolosamente vicina all’abisso dell’ipocrisia reale.

Se diamo un’occhiatina oltreconfine, potrebbe esserci qualche rimando in casa Explosion In The Sky quando sono in pieno trip nervoso, oppure gli spagnoli Toundra. Anche queste citazioni, servono per sottolineare che in qualche modo anche le band più blasonate o di riferimento, con il tempo sono diventate meno riflessive e più dirette. Merito indubbio di una introspezione trasformata in arte dai loro componenti: una volta terminati viaggi nell’onirico e relative atmosfere, l’impatto con la realtà ha spostato al massimo la manopola del distorsore. Un disco da avere. (Mauro Furlan)