SIMONE ALESSANDRINI STORYTELLERS  "Mania hotel"
   (2021 )

Una immersione, fin dalle prime battute. In un ascolto mai edulcorato e consolatorio, anzi urticante, stimolante, una terra inesplorata, tra abissi e sgangherati tentativi di risalita, hic sunt leones segnavano sulle antiche mappe per recintare i luoghi ignoti e misteriosi.

Un approccio colto e meditato, di spiccata originalità, a un tema di scottante attualità e proprio per questo rimosso scientemente dalle cronache, figuriamoci dall'agenda dei politici. Al massimo ci si fa belli citando Basaglia. Il disagio, l'oltranza, la sofferenza, la marginalità, pesi e sintomi sociali delle classi "paria" della società risolti con pillole o parole, o con l'indignazione a basso prezzo del benpensare comune.

Onore al coraggio di chi dà voce e suono a chi non l'ha più nel consesso sociale convenzionale e ha però un vissuto da raccontare, una verità da esprimere, una vita che pulsa nel silenzio. Si chiama "Mania Hotel" il nuovo album del sassofonista Simone Alessandrini con la sua formazione Storytellers, edizioni Parco della Musica Records. Una produzione importante, che non deve passare inosservata.

Come usava un tempo - una tradizione che in Italia ha avuto seguaci come De André, Giurato, Bennato - ecco un concept album, stavolta interamente dedicato al tema della follia. Raccontato in musica tra furia e malinconie, tra rabbia e prese di distanza, dilatazioni, sospensioni, in un piatto che condensa interplay jazz e accensioni e illuminazioni solistiche, suggestioni classiche, pianissimi e crescendo, e incursioni fecondamente contaminanti in mondi musicali come le colonne sonore felliniane, il rock e l'epica rovesciata - con conseguenti apparati sonori - del grande Tom Waits. E non manca un omaggio alle sonorità di un disco misconosciuto della sterminata produzione davisiana come "A man with the horn" del 1981.

Come ricorda il comunicato stampa, per questo concept album articolato in 10 movimenti Simone Alessandrini "ha raccolto 5 storie realmente accadute, alcune già note e altre che ha vissuto personalmente: la storia di Marina Luz, Ia bambina abbandonata nella jungla e cresciuta dalle scimmie, il Dr. Semmelweis "il salvatore delle madri" (da non mancare il ritratto che fa del medico ungherese che contribuì alla prevenzione della febbre puerperale lo scrittore Louis-Ferdinand Céline, ndr), il lamento d'amore di Attilio, la vicenda delle "libertine, snaturate, irose" rinchiuse nei manicomi durante il ventennio fascista e il giorno di ordinaria follia in un bar, in cui viene scagliata la ferocia contro un nemico invisibile. Storie accadute in epoche diverse ma che hanno in comune la fragilità dell'identità dell'essere umano e di come questa possa essere cancellata dalla società stessa".

Un mondo che di recente ha scoperchiato un romanzo edito da Solferino, "Di sangue e di ghiaccio" di Mattia Conti. Da questo approccio esce - per i palati fini di chi saprà ascoltare e abbandonarsi senza pregiudizi al tappeto sonoro disegnato dal flusso delle note - una colonna sonora adeguata ai nostri tempi di cronache furiose ed esacerbate, prodromi a una crisi che vedrà accrescersi nei prossimi anni.

Già altre volte il jazz ha provato a insinuarsi nel mondo della follia: il re dello swing Benny Goodman fu chiamato col suo clarinetto da Riz Ortolani per le musiche di "Fantasma d'amore", romantico dramma gotico di Dino Risi del 1981 - aridaje, stesso anno che dicevamo prima - ambientato nella nebbiosa Pavia dove un annoiato commercialista (Mastroianni) precipita nella follia rievocando lo spettro di un amore di tanti anni prima (Romy Schneider, che morirà l'anno seguente). Lalo Schifrin è autore della colonna sonora - arieccoce, nello stesso anno - di "Buddy Buddy" di Billy Wilder, commedia che racconta nevrosi e inibizioni sessuali. E poco prima nel 1975 Jack Nitzsche, nominato all'Oscar per la colonna sonora di "Qualcuno volò sul nido del cuculo", se la vide soffiare dal "solito" John Williams per la colonna sonora de "Lo squalo", di Steven Spielberg. L'horror vince sulla protesta sociale. E non è una allegra comitiva di picchiatelli anche quella dei musicologi radunata da Denny Kaye in "Venere e il professore" di Howard Haws con tante star jazz che interpretano sé stesse, da Louis Armstrong a Tommy Dorsey a Lionel Hampton?

Ma qui, in questo album dei nostri giorni, che documenta la qualità e le ambizioni della scuola jazzistica italiana che nulla ha da invidiare ad altri Paesi, siamo decisamente su un altro fronte, il film fatto di storie imbevute di cronaca ce lo vediamo nella testa, evocato dai suoni del gruppo di Alessandrini come in un loop senza fine, come una puntata speciale della trasmissione dedicata ai suoni di qualità "Battiti" nella notte su RadioTre.

Il finale con il testo struggente e strampalato al tempo stesso recitato da voce infantile - il fanciullino pascoliano che chi è senza pelle, ossia il matto, sbatte in faccia al mondo senza se e senza ma - che dà il sugo della storia su un tappeto di note che si vorrebbe ancor più alla Portishead ci precipita in una sorta di Overlook Hotel kubrickiano che è poi il mondo vero (ricordate "Matrix"?) in cui ci tocca vivere. La musica e il cinema sono l'illusione che esso abbia un senso.

Onore quindi - e voto 8 - alla formazione: Simone Alessandrini - alto sax, karaoke toy, Antonello Sorrentino -trumpet, Federico Pascucci - tenor sax, turkish clarinet, Riccardo Gola - double bass, synth bass, Riccardo Gambatesa -drums, percussion. Guest: Giacomo Ancillotto - guitar. (Lorenzo Morandotti)