THE HAWKINS  "Aftermath"
   (2021 )

Un’autentica goduria “Aftermath”, ep del quartetto svedese The Hawkins a poco più di un anno di distanza da “Silence is a bomb”, a quattro dal debutto lungo di “Ain’t rock’n’roll” e a sette dall’esordio assoluto con il mini “Part II: the puppet show”.

Letteralmente incatalogabili, questi quattro capelloni originari della contea di Västmanland dispensano in ventuno ubriacanti minuti sei martellate che spaziano tra generi e sottogeneri con assoluta nonchalance e palese tendenza al divertissement.

Ad aleggiare su canzoni che mischiano schegge di hard-rock sovraesposto, punk addomesticato, tentazioni vintage e pop sgangherato rimane un benefico senso di leggerezza che dà forma a pezzi in cui a prevalere sono il ritmo, le dinamiche, la frenesia.

La micidiale opener “Turncoat killer” spara immediatamente una bordata up-tempo che sa di Girls Against Boys, Offspring e Pennywise, seguita a ruota dal college-rock à la Weezer di “Fifth try”, scossa da riff, coretti, solo di chitarra e tutto il resto del campionario a disposizione. Neppure il tempo di capire cosa stia succedendo e a confondere ulteriormente le acque arriva la trucidissima “Svääng”, alla quale manca giusto il latrato gutturale di Brian Johnson per planare dalle parti di “Fly on the wall” e capitoli limitrofi.

“Jim & Kate” assume quasi le sembianze di uno sketch tra continue variazioni armoniche del canto, suggestioni kinksiane e impennate repentine, mentre “Cut me off. Right?” rispolvera vecchie cose trovate in soffitta, tipo Boston, Reo Speedwagon, Tragically Hip o Ten Years After, con un esplosivo crescendo di chitarroni dopo un meditativo inizio soft.

Chiudono con la title-track, strumentale introdotto da un organo chiesastico su un algido pattern della drum-machine, squassato un paio di minuti più tardi da un’improvvisa apertura subito placata in una nuova dilatazione psych di pinkfloydiana memoria (ma più Barrett o Gilmour?), a sua volta inghiottita da una rarefatta coda pianistica.

L’ep comprende anche le sette tracce – altrettanto godibili - di “Live in the woods”, brani estratti dai precedenti lavori e registrati dal vivo tra i boschi (sic!) e qualche altra venue improbabile: attitudine e urgenza in abbondanza infuse in un album che invoglia a rispolverare tutta la loro produzione alla scoperta di altri piccoli tesori nascosti.

It’s only rock’n’roll, o qualcos’altro che dirvi non so. (Manuel Maverna)