THE BROKERS AND THE WALL STREET BAND "The Brokers and the Wall Street Band"
(2021 )
Nella giungla discografica i primi secondi di un brano sono tutto, hanno il potere di decidere se qualcuno ascolterà il tuo brano o passerà al prossimo artista.
Ero preso dal lavoro quando mi arriva una mail dalla redazione del prossimo gruppo da recensire, e spinto dalla curiosità decido di dare in anteprima un rapido ascolto. Avete presente l’importanza dei primi secondi di prima? Eccola. Mi sono detto: ''Questi sono forti!''.
Ma andiamo per ordine: chi sono The Brokers and the Wall Street Band? È un progetto musicale di Giuliano Taviani e Carmelo Travia insieme a Diana Tejera, nato nel 2021.
È un omaggio (affettuoso e scherzoso) alla musica garage rock/punk con riferimento a gruppi come Velvet Underground, The X, The Stooges, The Sonics.
The Brokers (che è un trio) è supportato dagli amici musicisti The Wall Street band, ed ora presentano il loro Ep omonimo di 3 brani. Il quale si apre con la convincente ''Red Crow'', un brano che non può non ricordare Iggy Pop all’epoca degli Stooges, complice anche l’effetto “radiolina” sulla voce.
I riff, le ritmiche di chitarra e le sezioni di batteria sono davvero ben distribuite, come si dividono altrettanto bene la voce maschile e femminile. È un brano di livello, coinvolgente, uno di quelli che canteresti a squarciagola sotto il palco durante il live, a mio parere il brano più quadrato dell’Ep.
Dalle chitarre fuzzose si passa agli accordi lenti e western di ''Koll let me down'', la seconda traccia dell’Ep. Ci si immerge subito in un’atmosfera eterea in cui la voce di Diana canta in modo intimo, quasi come se sussurrasse all’orecchio del suo uomo pene e desideri, trasportandolo in un viaggio mistico tra gli echi del gran canyon delle loro anime.
Dopo questo break rilassante e disteso ripartiamo in quarta con la terza e ultima traccia ''In the dark''. Le reminescenze del brano precedente vengono letteralmente spezzate dai ritmi di batteria serrati e da un riff di chitarra tiratissimo che ricorda da lontano l’iconico Chuck Berry in ''Johnny B. Goode''. È un brano senza troppi fronzoli, sporco, sanguigno e diretto, da pogo direi. Scorre veloce e non annoia.
Alla fine dell’ascolto ho avuto (ed ho tutt’ora) la sensazione che queste siano solo delle chicche rappresentative di un lavoro più complesso che i ragazzi pubblicheranno in futuro. Ho apprezzato la loro definizione di ''affettuoso e scherzoso omaggio alla musica garage rock/punk'' perché in questi generi bisogna essere un po’ leggeri nel raccontarsi e nel suonare, e loro lo hanno fatto alla grande. L’Ep è un lavoro valido e fatto bene, e loro sono forti. (Silvio Mauro)