ARTHUAN REBIS "Sacred woods"
(2021 )
Se percepite che la vostra anima sia errabonda e disorientata, fermatevi qui, che Arthuan Rebis ve la fa ritrovare. Attingendo dalla spiritualità sia orientale che occidentale, Rebis miscela sapientemente strumenti acustici, a corde e a fiato, standard ed etnici, con elementi elettronici, soprattutto sul versante percussioni, senza mai che uno dei due componenti disturbi l'altro. Una sorta di world music mistica d'autore, dove italiano, inglese ed altre lingue meno conosciute si incontrano nel bosco sacro di quest'album: “Sacred Woods”.
Da notare i nomi di Gabriele Gasparotti ai synth, e di Emanuele Ysmail Milletti al basso fretless, che avvolge morbidamente tutti i brani. Il disco si apre con una preghiera recitata all'”Albero Sacro”. Per chi è poco pratico di concetti spirituali, l'albero è importantissimo, e la voce narrante di Paolo Tofani Krsna Prema Das ce lo spiega bene: “Sei il primo rifugio, la dimora degli esseri, la casa della saggezza dove crescono gli uomini che vedono il profondo. Sei l'antico custode (...) porta dei mondi, tempio di insegnamenti, migratore invisibile. Sei il fiume che scorre verso l'alto, sei il convivio dei maestri (...) L'origine e la destinazione”.
La musica è ipnotica, complice il ritmo delle percussioni. C'è da perdersi a leggere i nomi degli strumenti: bawu (un flauto), santoor (cordofono persiano), bodhràn (un tamburo), la nyckelharpa, gaita, esraj, e se siete curiosi vi consiglio di scoprire cos'è il sound bed. “Driade” ci comunica solennemente: “Nella foresta tutt'uno con le foglie, la driade della quercia sta. La sacra unione con il dio dei boschi lo specchio d'acqua svelerà”. La voce indugia spesso su note gravi e gutturali, ricordando quelle dei monaci tibetani.
In “Kernunnos” canta l'ospite Mia Guldhammer, ed ancora, dopo il protagonismo dei fiati in “Runar”, torna la voce gutturale, che canta come un mantra. Arpa e chitarra rendono delicata la musica di “Elbereth”, il cui testo è nientemeno che di J.R.R. Tolkien. Si torna in italiano con “Come foglie sospese”: “Dalle foreste celate all'uomo, voci arcane di un'altra età cantano le dimore di luce nel ricordo di un'era fa. E tra le foglie sospese nell'aria, ho incontrato lei, ma il canto di un essere quasi immortale dove finirà?”.
Le percussioni elettroniche si marcano di più nel pezzo “Fairy dance”, accanto alla viola celtica. “Danzatrice del cielo” si perde (o meglio, ti fa perdere) tra nuvole di arpeggi, mentre la chiusura con la dea della caccia, “Diana”, ti riporta per terra, con un sound che, seppur simile a quanto ascoltato finora, punta più l'approccio verso il folk. Forse perché è un brano di Colin Pearson, e si sente la differenza di penna. La musica di Arthuan Rebis è eterea ma mai statica, anzi parecchio coinvolgente. Un trascinante film senza immagini, da ascoltare ad occhi chiusi in mezzo al bosco. (Gilberto Ongaro)