LACERO "Orso bipolare"
(2021 )
Un nome un programma, Lacero lacera il suono con la chitarra distorta, come nei bei tempi del rock alternativo dei primi Verdena. Il suo sound abrasivo, giunto dopo anni di militanza in varie band, supporta ora il suo progetto solista, per il quale esordisce con il disco autoprodotto “Orso bipolare”.
I titoli delle canzoni restituiscono un’esistenza inequivocabilmente tormentata. “Ci svuota le membra” è carica di parole amare e rancorose: “Non so dissentire, è reciproco (...) ma quanto rammarico, dilaniante rammarico (…) disossato”. Un andamento trascinato grunge ci porta in “Agio” e “Chi aveva ragione”, tra parole sarcastiche: “Ti conviene abbandonarti ai soliti dettami. Lamentandoti troverai giustizia, per non averci provato mai. La tua voglia sintetica non si stanca e lesina”, “Rimani adatto a te stesso, succederà, puoi farti ascoltare, è già successo, somministra”.
L’agitazione aumenta con l’hardcore “Zolletta”, dove un verso cambia verbo dopo pochi secondi: “Rispetto gli altri e ancora il prossimo, fino a dimenticare chi sono”, attraverso delle “gocce di soppiatto”, diventa poi “Disprezzo gli altri e avanti il prossimo, fino a dimenticare chi sono”. Cos’è successo? Meglio non approfondire eheh!
Una chitarra acustica accompagna “Silvi”, il suono è meno aggressivo ma le parole no: “Non riuscirei ad esser come voi, e anche seguendo scrupolosamente le istruzioni che ogni giorno mi date. Volevo solo dire, torna utile soffrire. Splendore di un'anima carbone, puoi scolpire su carta il livore”.
La titletrack è un rapido wall of noise, disturbato però da cascatelle di note impazzite di glockenspiel, dove Lacero esprime parole confuse ma chiare, messe in ordine da un evidente disordine, carico di dolore: “Così sopra le righe, borderline. Fende l'orgoglio, tagliato a fette spesse. Sinceramente non so che fare, il mio vuoto alveare bipolare”.
Su accordi verdeneschi (settime maggiori su basso distorto e ritmo lento) si struttura “Imperdonabile leggerezza”, con parole che chiaramente maledicono il mondo sempre in competizione: “In un mondo che mente, vince chi finge. Il tuo fine era la mia fine”. Un riff interessante caratterizza invece “Perdere conoscenza”, e i legami semantici del testo si slegano ancor di più: “Dal disagio alla conferma, prima ancora che succeda”. Questa dissonanza testuale porta ad esiti eclatanti in “Dominio”: “L'uragano sboccia da germogli di macerie”. Qui la musica tarda ad esplodere, trascinandosi in una fase di accordi distorti stoppati, in una febbrile attesa.
“Dalla mia parte” rivela una difficoltà comportamentale e relazionale: “È colpa mia, lo so, cercare di rimediare a volte è stupido, specie quando non sai neanche da che parte cominciare, ma quel che mi spetta ha poca pazienza nei miei riguardi”. Suoni di piano elettrico punteggiano invece qua e là l’arrangiamento di “Passo dopo passo”, mentre lascio perdere le esegesi e riporto un estratto dal testo, senza spiegazioni: “Rassicurati dalle vertigini, inviolati senza traccia, adorati dal coro, distratti dai nostri silenzi, fino al totale abbandono”. E se “Opaco” è il significato delle canzoni, nonché il titolo dell’ultima, l’autolesionismo però è ben afferrabile: “Quell'insana voglia che hai di rosicchiarti. Normale credimi non accettare l'evidenza. L'unica forza che ti rimane fedele potrà chiuderti gli occhi e fermarsi all'ombra”.
Di certo la personalità di Lacero non è accomodante, e la musica spacca e fa dondolare nel buio, specchiandosi nel disagio di chi, facendo i conti con sé stesso, non può accettare la propria condizione. (Gilberto Ongaro)