IMPOSSIBILI "Tra sogno e realtà"
(2021 )
Intanto, gli Impossibili non si discutono.
Esistono da una vita, fino all’attuale assetto formato dal padre, padrone, fondatore, autore e guru Efrem Mezzanini - in arte Araya – e dai suoi tre sodali Klaus, Matt e Danu, rispettivamente basso, chitarra e batteria. Nati nel 1994 a Milano, hanno conosciuto periodi di notorietà ed altri di minore esposizione, sempre mantenendo ben saldi i princìpi guida di una musica immarcescibile: se loro citano Ramones, Screeching Weasel e Queers, io ribatto con Razzi Totali, Pornoriviste e Derozer, ma il discorso non cambia di una virgola.
“Tra sogno e realtà”, con mix e mastering di Mass Giorgini presso gli storici Sonic Iguana Studios di Lafayette, Louisiana, è un’autoproduzione ben calibrata che raccoglie tredici tracce di cui dieci inedite, trentaquattro minuti tesi e affilati lanciati a mille all’ora a segnare il perimetro di un disco semplice e diretto, efficace e solido, divertente e schietto, settimo album di una lunga carriera, magari defilata, ma sincera e incrollabilmente fedele alla linea.
Gli Impossibili sono così, prendere o lasciare: fanno la loro cosa con l’entusiasmo dei teenager e la consapevolezza dei marpioni, andando dritti al punto, infischiandosene di mode e tendenze. Non di rado chiudono i brani in fade out, il che è stranissimo per una band che propone il loro genere: come se i Ramones avessero sfumato “Blietzkrieg bop”, per dire. Altrove invece ripetono il chorus fino alla fine del brano, continuamente. “Finalmente sei arrivata” - per citarne una - dura più di cinque minuti, tanti per un pezzo così: eppure vorresti che non finisse mai, la lasci scorrere aspettando la prossima ripetizione del refrain, che è una benedizione. E finisce sfumata, pazzesco.
Non è questione di fortuna: hanno un sesto senso e conoscono il mestiere. Immaginate se reiterassero all’infinito il ritornello di un pezzo fiacco o mal riuscito. E invece no: “Tra sogno e realtà” azzecca praticamente tutto, dai suoni al piglio un po’ pop, dal passo spedito ai robusti intrecci delle chitarre. E poco importa se qua e là c’è sempre un giro, una battuta, una sequenza che ti ricorda qualcosa di già sentito: dalla mitragliata di “Hikikomori” in apertura alla tirata goliardica de “Sul sedile con te” in coda, passando per il gancio irresistibile di “Un like ancora” o per quel paio di accordi minori in “Fino all’alba con te”, qui non stiamo a cercare il pelo nell’uovo né il guizzo avant, questo è punk-rock quadrato al quale non chiedere nulla di più, punto e basta.
Un pugno di canzoni senza sbavature né orpelli che ben volentieri si lasciano cantare e ricordare, ti entrano in testa e non se ne vanno facilmente: serve altro? (Manuel Maverna)