YOU, NOTHING. "Lonely//Lovely"
(2021 )
Forse Simon Reynolds ha davvero ragione, e siamo tutti naturalmente attratti dall’irresistibile richiamo del passato.
Ne sono vivida testimonianza e fulgido esempio gli You, Nothing. Quattro baldi giovani – due ragazze e due ragazzi da Verona – che con un’urgenza neppure così sorprendente, ma graditissima a noi boomer, buttano lì con nonchalance e non senza un pizzico di furbizia i ventiquattro minuti di “Lonely//Lovely”, esordio per Floppy Dischi/Non Ti Seguo Records/Dotto.
Sia chiaro: Gioia Podestà, Federico Costanzi, Giulia Cinquetti e Nicola Poiana non solo non inventano nulla, ma neppure personalizzano chissà come o quanto un linguaggio che sa di tempi andati come il torrone sa di mandorle.
Il segreto è che lo fanno da dio.
E potrei finirla qui, ma sarebbe un peccato non decantare la sconfinata, romantica bellezza della loro devozione a idoli e modelli, quasi allievi diligenti al cospetto di maestri oramai in pensione, ma sempre e comunque influenti e presenti nel ricordo dei fasti che furono.
Otto sassate dritte al bersaglio, traiettorie e coordinate talmente palesi da non richiedere nemmeno indagini approfondite: dalla cartella stampa a qualsiasi recensione leggerete in giro su questo album, chiunque finirà necessariamente per citare shoegaze in purezza, correzioni dream-pop, divagazioni post punk. Perchè questa è la lezione mandata a memoria: shoegaze, dream-pop, post punk. Punto.
Una volta accettato e accertato di trovarsi più o meno nel mezzo del cammin di nostra vita – siamo ottimisti, via – e provenendo da ascolti non propriamente radiofonici, con candore si ammetta che di cose così ne abbiamo sentite a vagonate: non resta quindi che abbandonarsi alla cara vecchia nostalgia canaglia e lasciarsi sopraffare, dominare, pervadere da questo maelstrom saturo all’inverosimile di chitarre evocative e mestizia ben dispensata.
La sola variazione significativa rispetto al canone consiste nell’alzare più o meno i giri, velocizzando i brani o rallentandoli ad arte. Gli ingredienti, quelli di cui sopra: l’ingorgo elettrico à la Pains Of Being Pure At Heart che sorregge “Identity” in apertura, l’arpeggio morbido di “Reflectie” che sa tanto di DIIV, la cadenza squadrata di “Waves” con la chitarra a disegnare un pop sbilenco tra Bodega e Vampire Weekend, il basso tellurico di “H.Y.E.” e l’ingorgo acidello di “Problems” a rifilare due martellate degne dei White Lung, la diafana atmosfera di “Sonder” che flirta con My Bloody Valentine e Slowdive, il battito algido e metronomico di una svenevole “Closer”, la chiusura frenetica di “Gazers” spenta in un minuto di feedback in coda memore di ore ed ore ed ore di feedback in coda.
Alla fine del disco ho il morale a terra, mi sento triste, il mio umore non è dei migliori. Ma qualcosa cova in profondità, ed in fondo è bello sottomettersi al pensiero dominante, ossia una malinconia antica a cui cedere il passo e tributare gli onori che merita.
“Lonely//Lovely” va assaggiato, gustato, assimilato per quello che ti può regalare. Il sapore che lascia è quello di un piatto che mangiavi da ragazzo quando te lo cucinavano mamma o nonna e che ritrovi come Anton Ego in “Ratatouille”: una goduria, il resto non conta. (Manuel Maverna)