ARTEMISIA  "Derealizzazione sintomatica"
   (2021 )

Quinto album degli ArtemisiA, “Derealizzazione sintomatica”, uscito per la Onde Roar Records, è una scarica heavy metal, che attinge in qualche momento dal doom, per delle scelte narrative dark e tempi lenti e trascinati. Come nel pezzo di chiusura “Favola”, che esce dalla metafora del lupo e di Cappuccetto Rosso, per descrivere il clima di paura generato da un pedofilo nei paraggi: “Vestito d’angelo aspetta (…) la sua malvagità ti aspetta”. O come nel racconto de “La Benandante”, dove sulle parti lente la batteria accentua il senso di decadenza tenendo il charlie aperto. Poi il brano deflagra, mentre nel finale si trasforma in un folk da osteria, ripetendo il ritornello. Qui si narra di una sciamana che “con lo sguardo buca la mente”, e spesso nei testi, più che parlare di reali fatti drammatici, ci si focalizza sulle sensazioni, sulle paure, le angosce. Come nella canzone di apertura “Ladro d’anime”, dove questa forma indefinita si palesa in casa, un “gran maestro sacrilego”, un “profanatore invisibile”, e la cantante gli urla d’andare via.

L’introspezione continua in “Identità”, nel disordine mentale: “Tra il bene e il male distanza non c'è (…) l’istinto non è artificiale, lo sento che c’è”. Nel brano il metal si spegne per un cambio più morbido, con chitarra acustica e accordi di settima maggiore, per poi tornare a deflagrare. Un pianoforte dark apre “Fata verde”, dove la voce degli ArtemisiA viene affiancata nientemeno che da Omar Pedrini, e raccontano la violenta storia d’amore tra i poeti Verlaine e Rimbaud, contornata dall’assenzio (appunto la fata verde): “Maledetta storia che non ha sesso né genere, uno sparo spazza via l'incosciente alchimia”. “Ombre della mente” è uno shuffle ispirato al periodo di prigionia di Alda Merini in un ospedale psichiatrico: “Cerca conforto in un angolo bianco, così lontana piccola umana (…) forme inconsuete affollano i muri, così lontane, così vicine”. Il videoclip della canzone sembra in parte ispirarsi alla cantina di “Hiroshima mon amour”.

“Nelle terre di Ulisse” è uno strumentale dai vari colori fiabeschi di tastiera, sempre su fondo ruvido. E infine con “Fobia”, una partenza esplosiva ci porta ad altre visioni di terrore, pensando di essere sepolti vivi: “I graffi nel velluto rendono isteriche le urla intrappolate dentro quel feretro, l'odore della terra sembra più amabile, è comodo il cuscino, è meglio arrendersi”. Una seconda voce attacca in growl: “Questo è un delirio”. “Derealizzazione sintomatica” è un nuovo capitolo per il metal italiano, coi suoi fantasmi e i suoi cliché, che soddisferanno il suo pubblico. (Gilberto Ongaro)