CAETANO VELOSO  "Antologia 67/03"
   (2003 )

“O je je, O je je…” strimpellava anni fa il comico-cantante Davide Riondino nella sua interpretazione di Joao Mesquinho, immaginario cantautore brasiliano. Era una macchietta: sparava balle in un assurdo italo-portoghese, accompagnandosi con un’unica nota di chitarra. Spassoso, ma attenzione a pensare che i cantautori brasiliani corrispondano a questo standard (chitarra, bossa nova, voce sorniona e strascicata). Caetano Veloso sembra nato apposta per smentire questa caricatura: nei 36 anni di vita artistica riassunti da questa ricchissima antologia (34 brani, quasi uno all’anno) si possono trovare tanti di quei colori, tante di quelle modalità espressive, tante di quelle contaminazioni con la musica occidentale, da rimanerne facilmente affascinati. Non solo, ma in un mondo di meteore trentasei anni di successi sono una rarità, e sono anni vissuti intensamente, in cui Caetano oltre che il cantante ha fatto di tutto: lo scrittore, l’oppositore del regime brasiliano, e soprattutto è stato un fondatore del Tropicalismo, movimento artistico multimediale in anticipo sui tempi, che interessò svariate forme d’arte. Tutto ciò si riflette inevitabilmente sulla sua musica, e in questa raccolta, che non ha un ordine cronologico, può capitare di incontrare “Sampa”, classica ballata per chitarra e voce stile Joao Gilberto (e non Joao Mesquinho!), poi a ruota “Two Naira Fifty Kobo”, perfetta fusione di ritmica brasiliana con vocalità africane degne del Paul Simon di “Graceland”, quindi una romanticissima e francese “Dans Mon Ile”, delicatamente brasilianizzata con chitarre acustiche e percussioni, per poi tornare alla madrepatria con “O Leaozinho”, quadretto incantato ispirato dal figlio che gioca su una spiaggia. Il paesaggio non è mai uniforme: alle canzoni di impostazione tradizionale, sempre di ottima fattura (“Coraçao Vagabundo”, “Sozinho”, “O Ciume” e “Meditaçao”, un classico di Antonio Carlos Jobim, padre della musica brasiliana) si alternano moderne canzoni rockeggianti all’europea, come “O Estrangeiro”, “Os Outros Romanticos” e “Maria Bethania” (dedicata alla sorella, ottima interprete) con ritmi moderni ed elaborati, paragonabili per esempio a quelli del nostro Fossati, che non a caso a sua volta attinge molto dalla musica sudamericana. Dal samba carnevalesco di “Chuva, Suor e Cerveja” si salta alle atmosfere da film felliniano di “Que Nao Se Vé” (in parte in italiano), quindi al rap tropicale di “Haiti”, e ancora a quello splendido ponte tra Brasile e Mediterraneo che è “Os Argonautas”, con le sue chitarre di sapore greco. Lo stesso samba a volte assume forme meno sfrenate e più gentili (“Nao Enche”) o ingenuamente gioiose (“Um Canto de Afoxé”). Non ci si annoia davvero, e ancora non si sono viste altre facce del poliedrico e poliglotta Veloso, come quella contestataria (“Enquanto Seu Lobo Nao Vein”, “13 de Maio”) e quella della pura sperimentazione, fatta di dissonanze (“Doideca”), parole e suoni (“Pulsar”), o solo parole (“De palavra em palavra”). Originalissima e splendida anche “Muito romantico”, con un coro che sostituisce completamente l’accompagnamento strumentale. Non è finita: c’è ancora il Veloso ironico (“Superbacana”, “Carcara”). A quest’ultimo appartengono anche due brillanti esempi di brasilianizzazione di successi occidentali: la stoniana “Let it bleed” e la commerciale “Billie Jean” di Michael Jackson, così ben trattata da perdere i suoi strati di plastica, trasfigurandosi in una più umana e lenta bossa nova. E’ impossibile non lasciare fuori qualcosa da questa rassegna: la varietà è tale da disorientare. Ma c’è un modo sicuro per coglierla appieno: ascoltare questo splendido riassunto dell’arte di un grande della musica, non solo brasiliana, ma mondiale. (Luca "Grasshopper" Lapini)