BANDA POPOLARE DELL'EMILIA ROSSA  "La goccia e la tempesta"
   (2020 )

Prendendo spunto dal nome di una nota banca, la Banda POPolare dell’Emilia Rossa pubblica il nuovo album “La goccia e la tempesta”. Il gruppo è sempre è apertamente schierato per la classe operaia, così vituperata anche dalla sinistra ultimamente. Laddove gli ideali socialisti si avvicinano all’anarchia. Le canzoni sembrano uscire da un Novecento cristallizzato, con quel folk d’autore con chitarre acustiche e violino in primo piano, tipici dell’ambiente, ma anche una certa influenza dell’altro “International Popular Group”, cioè gli Area. Ci sono brani con strutture prog, come “Vi amo tutti”, che sfoggia un 15/4, che poi diventa 10/4, con accenti sbilenchi. La canzone è dedicata a Franca Ongaro, moglie di Franco Basaglia, il celebre psichiatra da cui nacque la legge che porta il suo nome, che chiuse i manicomi. La donna è stata protagonista attiva contro l’emarginazione dei malati mentali. Il ritornello canta la frase ritrovata fra le pareti di una cella del manicomio di Sassari: “Vi odio e io per dispetto vi amo tutti”, resa internazionalmente nota da Kurt Cobain. Ma il disco è aperto da “Portella della ginestra”, che canta tutte le speranze mai sepolte e le invettive ai potenti: “Il futuro è collettività (…) ci tengono all'inferno promettendo l'aldilà. Non pregheremo mai il vostro dio che fa santa la nostra povertà”. Annunciano che il mondo non sarà più “merce di usurai”. Da notare l’uso ricorrente di verbi al tempo futuro. Nonostante l’opprimente attualità, la Banda POPolare ha ancora la forza di guardare al domani. “Canzone dell’Amore – Quasi – Libero” è un valzer, seppur intervallato da improvvisi passaggi jazzistici. E manda contemporaneamente a quel paese i bigotti moralisti, e anche chi al contrario ostenta la propria libertà sessuale, che in realtà sottende solo la possibilità economica di farlo, senza essere giudicato. E allora: “Godremo ad ogni istante, brinderemo ad Epicuro, bestemmiando e maledicendo puritani e libertini”. A rafforzare la posizione femminista, arriva la figura mitologica più celebrata dalla musica alternativa (spesso anche nel metal, come nel jazz e nel prog): “Lilìt”. Un organo rock accompagna una discesa infernale che ammicca alla taranta, e la voce femminile canta parole che mescolano sapientemente la ribellione letteraria di Lilìt al proprio creatore, con certi favori che certi datori di lavoro chiedono alle lavoratrici: “Devo soddisfare tutte le sue voglie per ordine di Dio (…) no no no io di sotto non ci sto, no no no a mio padre dico no (…) per farmi stare buona mi vestono da santa”. “Non mi scorderò di te” è dedicata al disastro della Thyssenkrupp, che causò 7 morti e 1 ferito. Parte come una canzone d’amore, poi il sentimento rivela lo smacco di una realtà in assenza di diritti e norme di sicurezza rispettate. “Corriamo al lavoro la mattina troppo presto, la sera troppo tardi ci dimentichiamo di tornare a casa vivi”. “'O Padrone” canta in napoletano ancora una volta dei ricatti di chi comanda, verso chi ha poca scelta. Un 5/8 che si trasforma in samba, per poi finire samba in 5/8, è la struttura ritmica di “Socrate(s)”, che invoca la volontà di istruirsi: chi vuole mantenere le classi più basse nell’ignoranza, sa bene che la conoscenza dà potere. Così l’Emilia Rossa, parafrasando il filosofo, canta: “So di non sapere ma voglio imparare”. Così, “Colpo su colpo un tiro dopo tiro, vedrai che la squadra poi ti seguirà, vedrai che il palazzo d'inverno cadrà”. “Santa Libera” riassume tutte le istanze di un intero movimento, che proprio perché suonano stantie, qualcuno vorrebbe mettere a tacere per sempre. “In questi 70 anni non ho dimenticato cosa ci promettevate con la doppiezza di quella torrida estate (…) voi democratici che indossate il tricolore, che degli operai in fondo, vi fa schifo anche l'odore. Voi che volete raccontare che quel tempo lì è finito, l'ideale di uguaglianza è qualcosa di fallito, comodo per voi certo”. La canzone finisce in maniera sinistra: “Giorno dopo giorno il mio ferro ho lucidato”. Lo spirito battagliero continua riprendendo un pezzo nato probabilmente da cori spontanei: “La Valsusa paura non ne ha”. “Sul ponte del Seghino non passa il celerino”, e la sfida è aperta in accento piemontese: “Noi non abbiam paura, per voi ‘a sarà düra”. Il disco si conclude con “L’internazionale”, riprendendo parte della versione italiana originaria del testo francese di Eugèn Pottier, cantata poi in lingue diverse. Quest’album è emblematico, programmatico per una band che si definisce Rossa anche nel nome. Se vi manca quella cosa là, quello spirito del Primo Maggio che non si trovava più neppure nelle ultime feste dell’Unità, lo potete trovare qua. (Gilberto Ongaro)