STEFANO SAVINI 5TET "Aliquid novi"
(2020 )
Aliquid Novi, che in latino significa “qualcosa di nuovo”, è il lavoro più recente del quintetto di Stefano Savini, contenente undici composizioni originali dove il chitarrista è affiancato da Giacomo Uncini alla tromba, Davide Di Iorio al flauto, Mauro Mussoni al sax soprano, Andrea Grillini alla batteria e dalla voce di Sara Jane Ghiotti in tre brani. È un album jazz di ottima qualità, che, come ha dichiarato l’autore, è incentrato su una ricerca e su una convinzione. E gli elementi che Savini cerca – un jazz di ampio respiro, sperimentale e originale - e dei quali è convinto – i grandi mostri sacri ai quali guardare – sono chiari da subito.
Aprendosi con la title track “Aliquid Novi”, l’opera più recente di Stefano Savini e del suo quintet sembra affermare l’esatto contrario: il grande jazz è qualcosa che non ha tempo, esisterà sempre, e non può essere né vecchio né nuovo; si può rileggere, riadattare, riformulare con sperimentazioni più o meno estreme, e sarà automaticamente, per sua stessa natura, qualcosa di sempre nuovo. E qui il jazz è mescolato con la folk music, con ritmi e andamenti celtici, con la fusion, col rock, e la chitarra elettrica di Savini, sempre molto centrale, detta i tempi e gli inserimenti degli altri, magnifici strumenti.
Se “Aliquid Novi” è, in questo senso, la traccia perfetta per aprire l’album e indicare la direzione che Savini e i suoi vogliono seguire, il viaggio si articola in tanti passaggi anche ostici, conturbanti, nei quali serve che l’ascoltatore sia vigile e attento. Così “Balle di Paglia” sembra quasi flirtare con certe manifestazioni di musica popolare italiana, nella sua sfregolante e chiassosa espressività, mentre “Diesis” guarda forse al mondo spagnoleggiante di chitarre classiche vagamente flamenco. La celticheggiante “Il Profilo dell’Aria” vira, a tratti, verso la Hollywood dei ‘30s, mentre “Luna Park” è misteriosa e cupa e sembra quasi uscita da un noir dei ‘40s.
L’album si muove su questi binari dall’inizio alla fine, incalzante e profondo. Ancora rincorse irlandesi immerse in una palude jazz sono rintracciabili in “Ledar”, mentre maggiormente avvolta in una folta nebbia è la zorniana “Cosmos Dominante”, impreziosita dalla presenza della voce. Tra i riferimenti del disco ci sono un po’ tutti i mostri sacri del jazz, da John Coltrane a Miles Davis, da Charles Mingus a Theolonious Monk. Quello che ne esce è un album compatto, avvolgente, che soddisfa e appassiona dall’inizio alla fine, riuscendo a toccare più generi: si pensi alla elettrica e pomposa “Hard Blues Savo” e alla funky “Disco”. Pezzo dopo pezzo si arriva alla conclusione, la malinconica “Ninna Nanna”, con un improvviso afflato di speranza, che la musica sembra avere raccolto passo dopo passo.
(Samuele Conficoni)