DAVIDE SOLFRINI  "Ultravivere"
   (2020 )

Uno sguardo cinico e lucido, quello di Davide Solfrini, che sopra un rock wave (con elementi di pop rock e di new wave) molto spesso allegro, canta della nostra condizione, con una spiccata vena melodica. L’album “Ultravivere”, uscito per la prolifica New Model Label, si apre con una dichiarazione: “Tutto è guerra”, analisi sulla società competitiva. “Tutto è guerra, di chi è in cerca di attenzione, tutto è guerra, nei discount e nelle scuole”. Un mandolino che incontra un synth caratterizza l’arrangiamento di “Un pescatore”, dove Solfrini se la prende con gli astri: “Maledette le stelle (…) se qualcuno ci vede poesia, allora non ha capito niente, per questo faccio studiare mio figlio, che non diventi come questa gente”. Anche qui emerge l’elemento ricorrente, quel distacco sociale che abbiamo sviluppato da molto tempo prima del distanziamento sociale: “C’era un mio amico che una notte è uscito (…) poi amico si fa per dire, tre o quattro volte ci avrò parlato, ma nelle storie, nei racconti brutti, tutti diventano amici di tutti”. I battiti dritti da wave si fanno sentire su “Smontati la testa”, con il basso in evidenza. L’allegria musicale à la Camerini continua ad incontrarsi con una malinconica sincerità, che cita pure Stefano Benni: “Credevo di vivere in una commedia americana ed invece è in un bar sotto il mare, che vivo”. Arpeggi elettronici avvolgono la sognante titletrack, con degli stacchi ritmici nel ritornello un po’ da REM (forse complice il mandolino): “Ti porto a ridere in un posto migliore, dove i temporali non fanno rumore”. Con “Terra straniera” si avvia la dance, che affonda nell’alienazione: “Anche per me è terra straniera la vita intera”, su un refrain orecchiabile. Ci sono poi due titoli, “O.P. Blues” e “Intercity Blues”, che però non hanno a che vedere col blues. La prima sembra impersonare un negoziante in difficoltà: “Ho stretto mani ma non ho venduto niente”. C’è una strofa che merita d’essere riportata per intero: “Queste persone sanno un sacco di segreti, ma sono immobili, appesi alle pareti, non fanno niente che non ordini il maestro, e sono secoli che fanno solo questo. Abbiamo riso di quel povero pittore, che non parlava e non riusciva a respirare, ma guarda il quadro oltre all'intervistatore, magari sentirai in quel mondo piangere tutte le persone che non distinguono plagio e decisione”. L’altro blues è meno allegro del solito, ma il cinismo resta intatto, forse al suo apice, e chi ha vissuto la situazione non può negare di aver pensato allo stesso modo: “Dovremmo cenare presto in nome dei nostri avi, ma un treno fermo fa saltare i piani (…) Ma come mai chi vuol farla finita sceglie sempre un Intercity?”. Però, in quel vagone, le persone sconosciute iniziano a parlare, così chi canta constata: “Era da tanto tempo che non parlavo con così tanta gente”. Chissà perché, per tornare a socializzare, dobbiamo aspettare sempre una tragedia, che dobbiamo quasi ringraziare, perché ci ricorda di essere umani e fragili. Si torna all’allegria musicale con “Aria diversa”, dove torna lo sguardo di quelli tipo Bugs Bunny, quelli “che arrivano dopo e che non c’entrano mai” (scusa Vasco): “Qui si parlava anche di poesia, poi ogni stanza è stata liberata senza nemmeno sporcarsi le mani, una notte hanno lasciato i mobili sulla strada. Io resto qui e non ci capisco niente, chissà per cosa si commuove la gente?”. L’album si chiude con uno splendido affresco sulla “Controcultura”: “C'è ancora la politica con quelle feste che sembravan fatte per mettermi in disparte, quando bevevo e ci provavo con la tipa con la sciarpa, il cane e le ciabatte. C'è ancora il giornalista straconvinto che una rockband va in giro col furgone. C'è una rock band che va in giro col furgone, ruba le aste e incide su il suo nome”. E le riflessioni che scriviamo sui social diventano una collettività mondiale di pensieri: “Mentre Internet riflette, che lo vogliate o no, l'inconscio mio è di tutto il mondo”. Ma i testi sono troppo densi, per ogni canzone dovrei fare un’analisi a parte, mentre le parole corrono sulla velocità del ritmo. Mi fermo qui, e stra-consiglio Davide Solfrini, per la sua musica piacevole e una visione senza sconti sulle spigolosità dell’umanità del 2020''. (Gilberto Ongaro)