HUGOMORALES "Oceano"
(2020 )
Un pop con attitudine alternativa (stile Baustelle, per capirci) è la musica che accompagna il nuovo racconto di Edoardo Angelelli, che a quanto pare ama incarnare i nomi propri di altre persone. Ex Elio Petri, il suo nuovo moniker ora è Hugomorales, riferendosi al celebre giornalista e cronista sportivo uruguaiano. E con questo nome pubblica quest’anno “Oceano”, un racconto dicevamo, dedicato al compianto Mirko de I Camillas. Questo disco è incentrato su una trama fantascientifica non ancora scritta, nella quale i pesci conquistano la Terra e cacciano gli umani nel mare; e dopo, non contenti, vanno nello spazio alla ricerca di un nuovo pianeta, e lo trovano: un pianeta fatto solo di mare, senza crosta terrestre. Nelle nove canzoni dell’album ci sono i vari punti di vista. Prima ci si focalizza sull’uomo con “La pesca degli umani”: “I pesci hanno conquistato le strade, le meduse i porti di mare, e la pesca degli umani è uno sport spettacolare (…) ti ricordi le passeggiate vicino al bagnasciuga, le partite di beach volley prima della loro venuta?”. Con un titolo strettamente collegato all’attualità, “Pesci in quarantena” ospita suoni acidi di synth che intonano un tema da anime di fine anni ’70, e mette a fuoco la descrizione delle attività dei pesci sulla terra: “Le pareti della mia stanza sono immagini a ridondanza, foche e leoni marini sono in bagno senza vestiti, pesci gatto sono a mangiare, le tartarughe in piazza a gridare; le balene vanno in palestra, i salmoni corrono al parco”. “Feroce” entra nel punto di vista di un pesce: “E magari fossi bravo a cantare come fanno gli umani”. “Tracheotomia” è caratterizzata da una melodia cantata a presa rapida, dove la chitarra acustica è messa in evidenza. Un violino chiude una canzone dalle parole inquiete: “Come se fossi umano, dicevamo, immune dal bisogno di coscienza, fare a meno di introspezione (…) l’instabilità, l’irrequietezza generale, il malessere superfluo, l’imbarazzo seviziato. E non è così che respiri, tracheotomizzi”. Lo strumentale “Missione Delfino”, introdotto dal countdown della partenza di un razzo, ci porta nella seconda parte di questo racconto, con implemento di elettronica nel rock. La melodia tesse un’armonia diminuita, che rende l’atmosfera inquieta. Cosa sta succedendo? Ce lo canta Hugomorales nel brano successivo “In piedi sulle pinne”: “Un equipaggio di delfini in missione speciale, è partito alla conquista del Sistema solare”. La strofa è lenta e trascinata, quasi annoiata di sé, mentre il ritornello diventa d’improvviso veloce, citando una nota pubblicità: “Le stelle sono tante, milioni di milioni, puntate i telescopi in cerca di pianeti (…) I pesci sono in fuga dal virus degli umani”. Da qui in poi emerge una certa misantropia celata nella narrazione. In contemporanea l’elettronica si fa più presente, nel brano wave “Calypso senza pietà”: “L'atterraggio è la parte più dolorosa, quando la meta abusa di futuro, la magnetosfera ti afferra per le caviglie”. Ma avvicinandosi al pianeta, i delfini si accorgono che c’è solo mare, per loro fortuna, e allora il testo diventa: “L'ammaraggio è la parte più deliziosa, senza la terra non c'è più l'umanità”. E di umano davvero ora resta poco anche nella musica: “Il canto delle balene” è un secondo strumentale, dominato dalla batteria elettronica sulle note allarmate di chitarra e sirena, mentre a cantare ci sono solo le balene. L’epilogo è una musica estremamente orecchiabile, un finale scoppiettante, in cui su quel pianeta blu accade qualcosa di metafisico, però estremamente umano, per assurdo: “Afrodite”. “I gemiti dell'acqua son confusi, sembra Einstein, Platone o giù di lì. Senti l'oceano che lingua strana, prega per noi matematica. Una bianchissima Afrodite generata dalla schiuma delle onde che canta una ninna nanna al primo figlio nato sul pianeta blu”. Che significa l’arrivo di una nostra Dea? Gli umani si stanno generando di nuovo, anche sul pianeta dei pesci? O si tratta di un’Afrodite diversa, anch’essa con le branchie, che diviene fondatrice di una nuova mitologia per soli pesci? A noi l’interpretazione, come in un film di Nolan. (Gilberto Ongaro)