TESTING VAULT  "The night land"
   (2020 )

Dalla letteratura si attinge, spesso, per pescate ispirative, contaminando in meglio progetti e ideazioni artistiche. Poi, t’accorgi che il romanzo di William Hope Hodgson “The night land” (uscito in Italia come "La terra dell’eterna notte"), ha talmente colpito la mente del musicista-pittore Testing Vault (Daniele Santagiuliana) da adottarlo a titolo omonimo del suo concept-album, allestito con un piglio sperimentale atipico ed infrequente, nel quale l’effetto estraniante ed allucinato gioca il ruolo principe nei sette brani previsti. L’apripista “Life is a smiling falling comet” comincia con rumori bizzarri avvolti nell’incubo fluttuante di tastiera su nota fissa ed allarmante, mentre una musica-non-musica è quella di “Dust and teeth on the floor”, appesa al filo della disperazione alienante e claustrofobica, ma l’intreccio sonoro va oltre l’ottica ideativa ordinaria, suffragata da masticazioni di dentiere (!) e scosse elettriche. Spiritismo in bella mostra aleggia in “Hoarding dust with ghosts in the corners”, che inghiotte l’orecchio nei buchi neri dell’allucinazione spettrale ed onirica senza una chimerica uscita di sicurezza. Anche l’andazzo ferale di “Under the gray pyramid I took a moment to breathe” non lascia scampo a ricerche di luce, poiché le tenebre calano sotto pelle, con voci mortuarie che vaneggiano nell’ade. Invece, l’identità di “Ghosts are thin and full of filaments” è l’angoscia subliminale che condanna l’anima agli inferi senza che si profili una fessura di bagliore redentivo, con gli archi a sentenziare l’ineluttabilità del destino tetro, mentre l’asettica e sintetica “Hallucinating” è l’estro di una sedicente canzone-non-canzone ultra-sperimentale che varca confini tridimensionali, sperduti nella fossa comune del diabolico sadismo più spietato e crudele che ingloba, in realtà, l’ultima song “Crawl back under”. Calarsi nell’abisso di “The night land” non è alla portata di tutti, però se vi intriga la sfida che lancia Daniele, c’è il caso che risvegliate il “sonno della ragione”, confinando l’isolamento emotivo e quello della dura realtà che proietta mostri sullo schermo introspettivo. A quel punto, il lungometraggio della vita sarà visto con più ispirata solidità e meno menate emotive. (Max Casali)