PASCAL COMELADE & MARC HURTADO  "Larme secrete"
   (2020 )

Pascal Comelade e Marc Hurtado sono due vecchie conoscenze di quel sottobosco che unisce trasversalmente dropout e schegge impazzite di vari mondi in una landa imprecisata solcata da fiumi neri come pece.

Francesi, entrambi sperimentatori di lungo corso, pubblicano per KlangGalerie “Larme secrete”, quarantuno minuti ed otto tracce inquiete e vibranti, altrettante escursioni in un territorio di fosca penombra fatto di composizioni espressioniste ai limiti del free-form.

Elettronica screziata dal rumorismo scostante delle chitarre, un magma sonoro nel quale Marc Hurtado declama, recita, latra, urla, dipana i suoi poemi sghembi poggiando sul sostrato di insistita ripetititività tipico delle tessiture di Comelade; ma anche accenni di strutture figlie del post-punk dei primi P.I.L. o degli ultimi Membranes a delineare il perimetro di un disco incalzante, sottilmente perverso e lascivo (“Ete”), album che sublima in un’aura di trascendente incombenza l’inusualità di un sodalizio sospeso fra atmosfere stralunate e dilatazioni agonizzanti.

Dalla dolcezza ingannevole di “Or”, guidata da un pianoforte straniante e allucinato in un dedalo di impercettibili cambi di tonalità, agli oltre dieci minuti di “Infini”, accompagnata da un giro ipnotico di basso e chitarra che ricorda Noir Desir e Yo La Tengo, un senso di cupa oppressione si fa strada tra le spire avvolgenti di composizioni mesmerizzanti, buie, stordenti.

Sono brani imperniati sul crooning attoriale di Hurtado, atout che cattura e respinge in un connubio ininterrotto di repulsione ed attrazione: insinuanti e sfuggenti, si dibattono in cunicoli angusti in uno stato di perdurante trance, asfissiante ma fascinosa (“Cri”), tra echi di Scott Walker e qualche litania monocorde memore degli Swans o del cabaret acido dei Suicide (“Eclair”).

E se “Larme” assume perfino le sembianze di un bislacco blues waitsiano sventrato dalle urla belluine di Hurtado, è l’aria svenevole ed impalpabile di “Spirale” a fungere - coi suoi rintocchi metronomici e le aperture dei synth - da mesto commiato, suggellando in una bolla effimera tutta l’urgenza di un progetto intriso di ribollente intensità, pathos fremente, drammatica tensione. (Manuel Maverna)