IL RIPOSTIGLIO DELLE SCOPE "Sotto la luna… finché canta il gallo"
(2020 )
Ci sono le garage band, i canti da salottino borghese, le seduzioni da camera d’albergo… e poi c’è Il Ripostiglio delle Scope. Il gruppo, dal nome che fa pensare alla saggina ed ai muri di tufo, dedica il suo folk alla propria regione, l’Umbria. Dal cuore dell’Italia arrivano queste canzoni: fisarmonica, percussioni come tammora, bodhran, chitarra acustica, il suono sognante del bouzouki (nella tenera “L’odore del mare”), flauto dolce e traverso, banjo, c’è una ricchezza timbrica che mantiene alto il senso festaiolo della musica. L’album “Sotto la luna… finché canta il gallo” è aperto dalla dedica ad “Il comandante Papavero”, storia di un partigiano e di un bambino nato durante la battaglia, e diventato muto dopo uno shock. Il disco brulica di personaggi, come “Il saltimbanco”: “Sono un saltimbanco e non ho pazienza, ho lottato con tutti, la mia vita è resistenza; ho le mie idee, non posso vivere senza!”. I flauti sono protagonisti del racconto “Il sale e la rosa”, ma ancor di più nell’allegra “Canzone delle dieci dita”, dove le strofe accumulano numeri di dita in crescendo; le dieci dita delle mani di tutti che si tengono per mano, ti insegnano di un “mondo colorato”. “Vento in faccia” presenta una chitarra acustica più aggressiva, in corrispondenza con il tono piratesco del cantato: “Qualche volta la voglia di sparare è venuta anche a me”. L’intenzione è più bonaria sul pianoforte di “Vivere per ridere”, si “regalano sorrisi”, e alla fine il Ripostiglio ci concede un assolo di chitarra elettrica. Il pianoforte torna tenero anche con “La donna dell’acqua” e ne “Il vento e la montagna”. Se come il sottoscritto non avete mai sentito il dialetto umbro, “Lo spaventapasseri” soddisfa questa curiosità, narrando una storia vista dal punto di vista dello spaventapasseri, che osserva i corvi che gli si posano sopra. Un inciso deandreiano apre la drammatica “Zandalee”. Si riprende in mano l’elettrica per “Musica antica”, una sorta di road movie sui generis: “E quel pullman che ti porta sulla strada non so dove, non arriva perché il sogno si rivela troppo breve”. Torna il bouzouki su “Guance rosa”, su un metaforico bruco che non diventa farfalla, e su una crescente sensazione di rovente desolazione: “In questa terra arida con questa gola secca (…) c’è sempre meno erba e sempre più deserto”. L’album è chiuso dal 6/8 “Joseph’s Old Inn”, dove anche le parole chiamano la chiusura, la fine della serata, della musica e del locale: “Ora capiamo che abbiamo stufato e noi faremo l’ultimo cin cin. Carichiamo gli strumenti con il volto annoiato, mentre si chiude il Joseph’s Old Inn”. Dunque, se volete fare una capatina nel folk umbro, basta aprire la porta del Ripostiglio e ballare. (Gilberto Ongaro)