MASTICE "Crepa"
(2020 )
In un inebriante bailamme che sa di Massimo Volume in acido (“Rumoroso”), di Nicola Manzan, di Starfuckers, di sporcizia assortita dagli OvO in su, “Crepa” manda allo sbaraglio nove schegge impazzite di rumorismo brado (“Preghiera”, affidata ad urla belluine direttamente dai meandri più reconditi dell’Ade: Stefania Pedretti ne sarebbe fiera) alternate a digressioni intellettuali ammannite su scheletri di strutture noise asfittiche e soffocanti (“Antiballata”, con cori di Arianna Poli).
A celebrare il rito per Hellbones Records/I Dischi Del Minollo, al confine tra dolore uditivo e strisciante acrimonia, Igor Tosi e Riccardo Silvestrini, in arte Mastice, creatura scomoda e fastidiosa che da un decennio si aggira e si agita nei recessi della musica sotterranea baloccandosi con i detriti della mente.
Se ne “L’aspettativa” sembrano perfino degli Uochi Tochi strafatti, in “Testa di Igor” imbastiscono un curioso ossimoro di frenesia math: di qualsiasi deviazione si tratti, la scelta è per una recitazione martellante, incalzante e vagamente perversa (“Paralisi”, che piacerebbe a Giovanni Succi), in prevalenza distorta, mascherata da sonorità sghembe che infondono un senso di macabra incombenza.
Strutture più lineari di forma-canzone, benché estrema, puntellano “Laser”, trafitta da un riff tagliente della chitarra che si incunea in un dedalo di odio e cieco furore. Recitativi, frastuono, feedback lancinante, parole come pietre in un’intifada. Mi ricordano gli unoauno in certe sassate che fanno a pugni con l’estetica, con la bellezza, con la gioia in sé. Musica dolorosa e addolorata. Sgraziata, spigolosa, sofferente. Agonizzante come un moribondo. Antitesi della piacevolezza, negazione dell’intrattenimento.
Ferale come il violoncello straziato di Paolo Mascolini nella chiusura incupita de “L’abbandono”, coda nera che lascia un sapore amaro in bocca e un’eco stranita e stravolta, come di qualcosa che è andato storto.
Perchè avere una sola stazione come obiettivo/e come unica alternativa deragliare?/E’ sufficiente non costruire binari.
Un disco che è l’incubo di quelli che benpensano.
Gran disco, infatti. (Manuel Maverna)