THE DORF / PHILL NIBLOCK  "Baobab"
   (2020 )

All’insegna del trip emozionale e dell’esplorazione auto-conoscitiva, possiamo indirizzare la nostra fisiologia psico-auditiva nell’approcciarci al grandioso portale sonoro di Baobab, possente affresco introduttivo della quadripartita opera Baobab & Echoes, di cui occupa l’interezza del primo dei due CD. Oggetto della ponderosa performance, quattro composizioni di Phill Niblock, artista multimediale statunitense afferente con modalità personali alla corrente minimalista (articolando il materiale compositivo in forma di patterns, con ampio impiego di campionature e sovra-incisioni), nonché manager dell’ospitante label XI Records.

A rappresentarne pensiero e vedute sonore, la sperimentata formazione orchestrale The Dorf (o il Villaggio), ampia falange di vocazione ‘experimental’ (della cui programmatica sintesi di genere “utopian beats & krautrock/jazz/trance/noise” è con maggior probabilità l’elemento “trance” a spiccare tra le componenti estetiche e modali) e, in questo nuovo lavoro, a partire dai 25 elementi caratteristici della line-up ne è implementato il parterre con strumentazione pop-rock, set percussivi e sampler, così tanto ulteriormente fitta di individualità da farci tirare un sospiro di sollievo nel non doverla enumerare, ma 35 elementi non sono un onere gratuito nell’allestire le complesse tessiture di Baobab, sottoposta ad un raddoppio di tempistica per attingere ad oltre 45 minuti d’estensione in un esito d’evidente ambizione drammaturgica; in precedenza oggetto di un’interpretazione più “canonica” da parte del canadese Quatuor Bozzini, nella dilatata presente versione l’ensemble conferisce corpo vibratorio ma soprattutto infonde organico respiro, esitando in un affresco vivente di macro - e, non meno, micro - variazioni che ne articolano il senso rappresentativo, non ritenendo d’incappare nell’eresia volendo ravvisare elementi di contatto con altri grandi progetti di forza evocativa e tensione spirituale (Inori di Karlheinz Stockhausen sembrerebbe tra i riferimenti più alla portata).

Media ma non certo risicata l’estensione della vibrante Rich, che incorpora un palese corpo rockeggiante nella carpenteria ritmica (anche) così come quel brulicare metropolitano caratteristico di parte della produzione di un Philip Glass, ma senza i momenti di stanca creativa che hanno a più riprese toccato il pur grande (quanto inflazionato) minimalista newyorkese. Ancor più contenuta l’estensione della capricciosa e pungente F-Lan, che nei suoi dodici minuti d’estensione ha modo di opporre alle modalità “minimal” una cruenta sfida incarnata da un pervasivo stato agitante, operato da masse sonanti in collisione. Seguendo un ordine decrescente di durata, i quasi dieci minuti della conclusiva Split sono sostenuti da un’incarnazione più “bandistica” di The Dorf, che non lèsinano energie nell’espandere il senso di quelle polifonie assembleari à la Steve Reich o certe orchestrazioni da scritti del primo Terry Riley, pur distorte da un approccio tendente all’esasperazione discorsiva.

Quantunque l’essenza dei materiali potrà non riuscire radicalmente “nuova” per istanze fondative e resa estetica, pure le connotazioni del complessivo soundscape autorizzano, per questa esperienza, ad invitare ad un ascolto partecipante nel rilasciamento delle barriere percettive, esortando ad aver fede nelle note di copertina quando assicurano che “in un modo o in un altro, la musica vi raggiungerà”. (Aldo Del Noce)