SECRET SIGHT  "Borders"
   (2020 )

Pubblicato per la Seahorse Recordings di Paolo Messere, spesso una garanzia, non delude “Borders”, nuovo lavoro dei marchigiani Secret Sight - Lucio Cristino, Tommaso Pompili, Enrico Bartolini - a tre anni da “Shared Loneliness”. E’ un lavoro centrato, equilibrato, morbido, plasmato attorno al consueto stile che miscela ballate indie ed oscuro synth-pop.

A tratti memore di uno stile languido e vagamente melanconico che rimanda a preziose realtà di fine anni ottanta (la deliziosa “Signs” in chiusura non sfigurerebbe nel catalogo Psychedelic Furs), “Borders” mette in fila dieci episodi elegantemente rattristati che delineano il profilo di un album lineare, diretto, schietto e a suo modo urgente, intriso di una palpabile desolazione in cui è piacevole perdersi.

Se “Say words (unspoken)” è una piccola meraviglia tenebrosa e sfuggente, la cadenza squadrata ed il basso insinuante di “To stand myself” rimandano perfino a certi Roxy Music periodo “Stranded”, prodromo di una musica paradossalmente scintillante ed incupita a metà strada fra certo rock buio à la Steve Winn (“There must be a way”) e vaghezze anni ottanta, sempre virato in grigio e con una bella propensione per tonalità minori e ritmi incalzanti (“By the end”, “Inner borders”).

“Awake me”, che sembra un pezzo degli Interpol o dei nostrani Nomotion, ha chorus e linea di basso sontuosi, ed anche quando, già dalle prime battute dell’opener “Taxi dreamer” – brillante progressione à la Cars - i synth si prendono un po’ troppo la scena, rimane ad aleggiare un gradevole sentore di dark-wave d’antan, quella che nobilita l’aria afflitta di “Puddle” e che conferisce all’insieme un fascino antico. Plumbeo, ma curiosamente distensivo. (Manuel Maverna)