NIELS GORDON  "Land"
   (2020 )

“Land”, appena uscito per Lamour Records, è l’album d’esordio del visionario musicista svedese Niels Gordon. Colui che, nonostante il senso di modernità che ingenera il pensiero riferito alla musica elettronica, decide di pubblicare un album in vinile. E lo fa con la convinzione che bisogna primariamente sbarazzarsi dei computers, tornando alla genuinità dei vecchi buoni sintetizzatori d’un tempo. Tornando alla organicità ed alle vibrazioni della scuola Kraut di Berlino. Ed eccolo ritirarsi nei boschi, lontano delle città svedesi, a comporre e registrare i brani di questa produzione. Di cui anche la copertina ha un certa grafica, con immagini che sembrano consumate nel tempo, di rimando a grandi produzioni del passato. E’ un mondo di musica elettronica solitaria, espressa da un artista altrettanto solitario. Solitudine esternata anche nelle esibizioni live con la sola presenza on stage del musicista, circondato dai suoi attrezzi e da infiniti cavi, alle prese con esecuzioni che non hanno sostegni sonori o backing tracks. “Im park” è il primo dei brani ed è uno dei più interessanti di questa produzione. Ha la caratteristica di trasmettere un senso di calma, un mare tranquillo con orizzonti infiniti e tersi. Frutto della felice scelta degli elettronici suoni, che sembrano stare proprio al punto giusto per effondere le giuste emozioni. “Inner ground” e “Voiage dans la nuit” sono tipici da elettronica germanica, di quel tipo di krautrock anni ‘70/‘80 del secolo scorso. Brani che prendono un po' da qui e un po' da lì, ma attingono a piene mani dai signori del genere, i Kraftwerk. Altra apprezzabile composizione è “Helio”. Densa di sonorità d’espressione di un certo mondo non così confinato e limitato come l’elettronica primordiale sembra averci instillato, facendoci credere che, in fondo, si tratta solo di suoni tirati fuori da macchine. Non è così. “Outer grounds” e “Ohrnacht (am See) sono sonorizzazioni dallo spettro più ampio, senza beat, che figurano qualcosa d’infinito. L’ignoto (e affascinante) spazio profondo. Un oceano universale di sonorità sintetiche, che emulano perfettamente la naturalità e il pathos di chi li compone e di chi li esegue. “Woodlands” richiama quello che è il contesto dove l’album è stato musicato, ossia nel bel mezzo di un ampio bosco. Dove il selvaggio inizia a predominare e la modernità della città si trova a disagio. Nonostante ciò, le melodie elettroniche stavolta difficoltosamente riescono a far figurare la prepotente naturalità di un bosco, coi suoi caratteri selvaggi. Infine “Tides”, che chiude giocando coi sintetizzatori in delay, dando e lasciando l’idea della profondità e della tridimensionalità del suono. Poi gradualmente allontanandosi, in una dimensione spazio temporale non remota. Interessante esordio, da consigliare agli appassionati vicini e lontani di musica elettronica. Moderni e tradizionali. Un buon modo per rendere più “organico” il pensiero inerente ad un elettronica meno sintetica rispetto a come siamo abituati a pensarla. (Vito Pagliarulo)