PAOLO VOLPATO GROUP  "Contro"
   (2020 )

Ho sempre pensato che nella musica lo spartiacque fra qualità artistica e prodotto di largo consumo sia l’implacabile criterio della durata, direttamente proporzionale al valore dell’opera. La produzione “usa e getta” prevede, per dirla con Serge Latouche, una sorta di obsolescenza programmata [Latouche S. (2012), Usa e getta. Le follie dell’obsolescenza programmata, tr. it. Bollati Boringhieri, Torino, 2013] rispondente alle stringenti logiche di mercato. In questo caso il Tempo non è galantuomo poiché spazza via le meteore del nulla, quell’immondizia musicale da cui siamo sommersi (parafrasando il grande Battiato, Bandiera Bianca, EMI, 1981 - per approfondimenti si rimanda alla classica critica di T.W. Adorno). “Ascoltare quei gruppi carini che ogni giorno alla radio trasmettono è divertente solo per qualche minuto”, cantavano i Goblin (Opera Magnifica da “Il fantastico viaggio del bagarozzo Mark”, Cinevox, 1978). Quando è espressione d’arte, sorda di fronte alle effimere sirene del “nuovo che avanza” e immune ai suoi effetti distruttivi, la musica riesce invece a evocare immagini, ricordi, vissuti, spesso ad elevare lo spirito, indipendentemente dall’anno di uscita. Quante volte ci siamo sopresi a (ri)scoprire inedite sensazioni rispolverando dagli scaffali dischi che non ascoltavamo da mesi o addirittura da anni?

Un’opera di qualità non soggiace quindi all’obsolescenza programmata: è il caso del CD che andiamo a presentare. La prima indicazione in tal senso mi è stata data dalle volte che ho dovuto riscrivere gli appunti che annotavo per questa recensione. Quando ritenevo di poter inquadrare il disco in un determinato filone (Fusion? Avant-garde? Post-prog? Jazz?), rimesso sul lettore ero punto e a capo: buon segno. La band (Paolo Volpato: chitarre, synth, arrangiamenti, composizioni; Roberto Scala, basso in Ossigeno, synth, elettronica; Luca Vedova, basso; Adrian De Pascale, batteria; Michele Uliana, clarinetto, sax;, Giacomo Li Volsi, piano, con vari ospiti: Alessandro Seravalle, Frank Pilato, Marcello Contu, Alessandro Giglioli) esordisce con un CD composto da otto tracce, di cui sette strumentali, improntate ad un sound chitarristico curato nei minimi dettagli, che tuttavia non appare mai invasivo in quanto ben integrato nell’ensemble.

Preludio/Contro predispone il setting immersivo con un discontinuo andirivieni di suoni fluttuanti (chitarra-synth) che richiamano l’elemento liquido tipico della post-modernità (Bauman docet), a cui subentra una ritmica elettronica soft che supporta un’altalenante cascata di note disperse. Ziqqurab Baby è retto da una pregevole trama jazzistica di sapore latino, interrotta da nervosi monologhi di una chitarra dialogante con accattivanti giri di basso e synth dai timbri cristallini. Ossigeno è inaugurato da una rullata su cui si impiantano liberi fraseggi intercalati da momenti più dinamici, tappeto ideale per improvvisazioni tipiche (anche) dei live in contesti jazz-oriented. Echi di onde marine e gabbiani solitari in lontananza aprono Scalea, raffinata traccia minimalista di breve durata dominata da chitarre “oniriche”. Un arpeggio di piano dal retrogusto malinconico e i suoi successivi duetti strumentali ci porta Nelle Tensioni, brano che vede la partecipazione di una vecchia conoscenza (anche) lizardiana, Alessandro Seravalle (ci siamo già occupati della sua “Officina” sonora” qui e qui) dal cui microfono esce una voce “chioccia” (chi non ama il Divin Poeta?), ora lamentosa ora assertiva, che conferisce al brano un alone di mistero, preludio a una dilagante apertura ritmica di impronta jazzistica che sfuma in un’atmosfera eterea. Nomen omen: in Labirinti, sonorità acide dialogano con un imprevedibile piano abbinato ad altrettanto imprevedibili risposte di basso e batteria: il tutto evoca una sensazione di libertà nello smarrimento (o di smarrimenti nel labirinto della liberà?). GLV vede ancora inizialmente protagonista la chitarra per poi partire con un ritmo più continuo dove si innestano provvidenziali soli di fiati. Il brano finale Postludio/Multicolorato richiama quell’agrodolce sensazione di enigmaticità che caratterizza Preludio/Contro, andando così a chiudere il cerchio con cui si apre l’opera. Un’opera magnifica? Perché no! (MauroProg)