GRES  "La giusta distanza"
   (2020 )

Adattare l’italiano al post-rock o al grunge non è che sia operazione cosi semplice e banale ma, piuttosto, alquanto coraggiosa, indice di una certa personalità, senza la quale il combo modenese dei Gres non sarebbe arrivato ad esordire con apprezzabile coriaceità messa in campo nel debut-album “La giusta distanza”. Otto brani spalmati con cioccolato amaro e poco burro, destinati agli amanti della veemenza stilistica, dello scossone ideologico, degli “ampli” a palla. L’efferatezza prende il sopravvento già dalla titletrack, in cui l’ugola di Camilla sprizza spavalda e sicura nel tourbillon d’impostazione. L’arrivo di “Rebecca” ostenta tessuti punk, con il basso che fa terra bruciata, incenerendo a pieni giri in solido sostegno, ed è “Sacrosanto” e lapalissiano che qui di respiri ce ne siano pochi: giusto all’inizio, e poi via a tutta randa in un’apnea soffocante di turbinii e dissonanze. “Spezzata con grazia” si dichiara con lacerante new-wave tirata a lucido e raccolta in scomparti fre(e)menti di rullate asfittiche. Con una band cosi eruttante d’energia ed “incapace” di tenersi nulla dentro, è normale che i nostri eroi spiattellino tutto alla massima espressione, efficace rimedio per la sedentarietà da quarantena: non si esce da casa, d’accordo! Ma almeno con i Gres non ti deprimi. Dopo “Una parentesi” aperta con idee non messe totalmente a fuoco, per mancanza del guizzo decisivo, ora sventola il loro “Grifone” identificativo, sferrando vortici ossessivi e schegge impazzite di post-rock incendiario, dalle quali i lobi ne escono particolarmente ustionati. Chiude la micidiale bordata tellurica di “Camposanto”, capace di resuscitare defunti (veri) e quelli virtualmente già morti, che si strascicano la vita senza nerbo costruttivo. Tout court, il quartetto emiliano ce l’ha sbattuto sui denti: “La giusta distanza” che intercorre tra l’apatia e la grande verve è minima. E’ solo questione di scelte rapide, poiché la scossa comincia da qui: ogni lasciata è persa. (Max Casali)