EMMA GRACE  "Wild fruits and red cheeks"
   (2020 )

Fedele ad una concezione totalizzante di arte, vissuta e rappresentata in purezza per il tramite del suo strumento di elezione (il violino), la poliedrica figura di Emma Grace, affermata musicista e compositrice di origini italoamericane oggi di stanza a Venezia, da anni arricchisce di colori la propria tavolozza, aggiungendo nuovi elementi alla primigenia forma espressiva che ne salutò gli esordi.

Prodotto da Pipapop Records con il mastering di Alessandro Antonel – aka Capitano Merletti – il doppio album “Wild fruits and red cheeks” segue di due anni l’esordio di “Backgrounds” e ripresenta Emma filtrandone l’evoluzione attraverso il prisma di diciotto tracce stratificate e multiformi, compendio d’arte varia declinata con eleganza mai affettata ed attenzione alla sperimentazione.

Interamente realizzato dalla stessa Emma, propone settantacinque minuti che scorrono come un flusso di pensieri ed immagini vivide e suggestive, quasi la sonorizzazione di un film pensato e mai girato.

Lavoro che muove comunque da una prospettiva colta, è opera concettuale ed emozionale al contempo, fondata sul potere evocativo di tessiture spezzate e variopinte, di continuo animate da contrappunti, idee, variazioni a disegnare movimenti repentini racchiusi nelle contorsioni di quelle quattro corde, che diventano la parte per il tutto, echi di un mondo nascosto, invito alla scoperta.

Alcuni episodi sono affidati al solo violino, altri impiegano più strumenti, ivi compresa la voce che si fa strumento aggiunto, mutando “Love song” in qualcosa che è più di una canzone, raggiungendo talora in questa sua vocalità defilata un lirismo prezioso.

Musica contemporanea ibridata con un folk antico ed un neoclassicismo mai manieristico (“Above love”, “Corridors”, entrambe con pregevoli intarsi canori), ricama arabeschi nel pianoforte nudo di “Morning steps”, sfrutta percussioni improvvisate in “Wild cheeks”, lambisce l’alt-country nella dimessa intimità per sola chitarra di “The tree”, richiama l’incedere ancestrale di Loreena McKennitt nella conclusiva “Sailor’s lullaby”, mentre il fingerpicking sull’acustica in “Blue woods” delinea, insieme al canto distante che ricorda la Paula Frazer del periodo Tarnation, una folk-ballad intensa e dolente.

Piccoli esempi, indizi, suggerimenti: petali sparsi lungo il sentiero come una scia ad indicare la via. (Manuel Maverna)