ANÈDONE  "La superficie delle cose"
   (2020 )

Semplice, delicato, attraente pur nel suo saltuario ermetismo, “La superficie delle cose” ben fotografa il talento misurato di Francesco “Franz” Martinello, artista friulano attivo da oltre un quarto di secolo in svariate incarnazioni, oggi al debutto con Anèdone, di fatto una band (con Francesca “Meggie” Covre - chitarra e voci – e Giacomo “Jacu” Iacuzzo – percussioni e campionamenti) che cela un progetto solista.

Sette brani in imperfetta solitudine che rileggono il songwriting da un punto di osservazione personale e singolare. Impegnato, mai banale, ma neppure appesantito da cervellotiche elucubrazioni; scevro di svolazzi o forzature, affida ad una provvidenziale sostanzialità tutto il suo bagaglio di intimismo vagamente pessimista, circondando queste vivide composizioni di un’aura sottilmente opprimente, strisciante, incupita.

Ben supportati da sonorità levigate e da una musicalità coinvolgente, testi incisivi non privi di spessore narrano di ricordi e malumori, ergendosi a testimonianze di una congenita amarezza. Francesco scrive con ragionata eleganza e con altrettanto compunto garbo – affatto rinunciatario, sconfitto o dimesso – porge canzoni morbide agitate da un che di insinuante. Appare risentito e compassato nella riflessività desolata della title-track, giocata su un incedere oscuro e pungente à la Benvegnù; indulge alla melanconia in quel piccolo giardino della memoria che è “Giorni di ottobre”, quasi il Battiato più pacato e nostalgico; raggiunge vette epiche nel perfetto connubio di musica e parole che fa del recitativo à la Massimo Volume sulla cadenza ossessiva di “Chiodi” (liberamente tratta dall’omonima poesia di Agota Kristof) il vertice dell’album.

In una rappresentazione innaturale – per ciò stesso deliziosa – del cantautorato che fu, affronta con una plumbea lievità non priva di slancio lirico il tema toccante di “Babbo in prigione” - cover del brano del 1978 di Francesco De Gregori -, sospesa su un filo sottile fra pietà, compassione ed un neorealismo cinematografico ben veicolato da un arrangiamento che ne arricchisce la primigenia essenzialità.

“Un profilo sbiadito”, chiusa in una nebulosa di suoni frammentati, caracolla buia e monocorde su una linea ritmica incalzante prima di aprirsi ad un ritornello armonioso – per nulla distensivo - tra Emiliano Merlin e Marco Degli Esposti, disegnando e definendo l’episodio forse più complesso del disco. “Sogno” supporta con grazia il celeberrimo discorso di MLK, fungendo da preludio al commiato gentile de “La veglia”, afflitto rallentamento in minore che suggella con tremante abbandono un lavoro intenso, prezioso, baciato da una creatività che non ha bisogno di toni o tinte forti per mostrare la propria raccolta grandezza. (Manuel Maverna)