MÅTT MŪN  "Cosmography"
   (2020 )

Il synth-pop fu quella cometa che apparve nel cielo degli anni ’80, e furono in pochi a credere che la coda della sua scia potesse continuare ad illuminare, ancora oggi con ottimi bagliori ispirativi. Puntuale smentita arriva dall’artista veneto Mått Mūn (Mattia Menegazzo) il quale, con “Cosmography”, fa in modo che il genere sia ripercorribile senza nostalgia, evitando proposte patetiche. Grazie al supporto della giovane label alternativa Beautiful Losers (sempre a caccia di progetti poco dozzinali), può lanciare sul mercato un deca-tracks alquanto credibile, poiché non vige plasticosa monotonia ma, semmai, strali di fervente fantasia. Gli scenari si dischiudono con pulsazioni ibride e severe di “Catalyzer”; ingredienti ideali per librare nel cosmo, mentre le battute di “E-motional” si sporgono dal terrazzo degli Editors per goderci la mente su panorami futuristici ante-litteram. La glaciazione si attesta sullo “Zero”, per modulare alchimie tra acustica, elettronica e violini: uno tra i pezzi più belli dell’album. Spiace segnalare che, puntare il mercato col singolo “Ellipsis”, non risulta tra le scelte più efficaci: poco ammiccante nella formula di robotica vocale ed asciuttezza assemblativa. E dire che nella lista c’è l’imbarazzo per mirare su opzioni migliori. “Love positronic” vive di respiri di synth asettico, impastato in distese visionarie di e-pop per placcare l’orecchio con fermentazioni estranianti. La struttura di “Nebula” sembra partorita dall’incontro tra Morissey e Depeche Mode, ma con l’accordo di essiccare l’anima della drum-machine, per susciare stilemi fluttuanti, mentre la glaciale ballad “Untouchable” spalma connotati malinconici con espressione liturgica, proiettata sull’onirico. Ecco, per il prossimo singolo si poteva puntare, invece, sull’accattivante “Hypersonic”: immaginate i Buggles (quelli di “Video killed the radio star”) che intrecciano trame con Ultravox e Kraftwerk. Per l’ipnotica “Universal beating heart” si rilevano ticchettii oriental-space, per lasciarci un testamento di incorporee stelline del firmamento sonoro, fissate in un album che fa tenere le cuffie fino al termine per merito di Mått Mūn, lodevole visionario del future-pop. (Max Casali)