WIRE  "Mind hive"
   (2020 )

Non si stancano evidentemente gli Wire che, con una puntualità impressionante, sfornano album e tour a ciclo continuo, praticamente dalla fine degli anni ’70.

Il successore dell’apprezzato “Silver/Lead” si chiama “Mind hive” e si presenta con una veste completamente nera (là dove il suo predecessore era dominato dal suo opposto bianco) in cui un blu mare tratteggia il nome dell’album in oggetto; niente fronzoli, disegni o foto ad effetto… basta il marchio, insomma.

“Be like them” è il brano di apertura in cui Newman e soci ripropongono un sound stile Wire 100%. Che cosa voglia dire poi questa frase è tutto un programma. Probabilmente, chi sta scrivendo si riferisce a quel genere musicale che proprio gli inglesi crearono sul finire degli anni ’70 quando il Punk iniziava la sua veloce autodistruzione per lasciare il posto ad un Post di cui gli Wire, insieme a pochi altri, hanno il diritto di considerarsi i veri padri fondatori. Colpi secchi e robotici della chitarra e della batteria di Grey, per scosse elettriche impareggiabili.

“Cactused” è il singolo scelto (non a caso) per promuovere “Mind hive”; attraverso la sua portata melodica, ha un sound capace di entrare subito in testa, reso ancora più piacevole da controcanti azzeccati. Strofa e ritornello si intrecciano e rincorrono per tutto il brano, per un singolo che mancava da tempo nel repertorio Wire.

“Primed and ready” offre staffilate elettriche (comunque meno efficaci delle canzoni precedenti), mentre “Off the beach” si presenta come il pezzo più pop dell’album: le chitarre meno aggressive e la leggerezza che si respira ne fanno un pezzo che pare ineliminabile.

Con “Unrepentant” e “Shadows” gli Wire si sanno destreggiare in insoliti lentoni in cui compaiono più evidenti le tastiere e dove il lavoro per Grey è ridotto ai minimi termini.

“Oklahoma” riaccende la corrente e riporta l’adrenalina per chitarre quasi hard ed urla distorte. È apprezzabile la scelta al microfono di Lewis, capace, attraverso doti canore e melodiche superiori a Newman, di ammorbidire il pezzo più duro di “Mind hive”.

Una interlocutoria “Hung” lascia lo spazio alla conclusiva “Humming” ed alle sue tastiere onnipresenti, espressione di una quiete ben guadagnata dopo nove pezzi di chitarre in primo piano ed i consueti piacevoli colpi elettrici, semplici ma efficaci come un buon defibrillatore. (GIANMARIO MATTACHEO)