NAIROBI "Nairobi"
(2020 )
Finalmente un po' di sana frenesia post-rock! Il momento giusto per beneficiare di stacchi, colpi e ritmiche serrate. Sono postumi da ubriacature da mare e da terra, sono istinto animale, sono richiami atavici. Espressioni prenuragiche/nuragiche e paleovenete decodificate in ritmo, musica. Solo musica, senza parole. Dalla collisione tra cultura sarda e veneta viene fuori tutto un suono ed un ritmo. E la frenesia di questo linguaggio antico/moderno inizia a crepitare ed esplodere. E un flash ci porta millenni avanti, con un salto temporale, al 30 gennaio 2020. Data di uscita della release di questi Nairobi, dal titolo omonimo. E’ un trio formato da musicisti provenienti da storie varie, che ci tiene a costruire un muro di suono composto da dense melodie angolari. Il vero lavoro sporco viene però svolto dalla sezione ritmica. Dalla batteria a colpo sicuro di Andrea Siddu e dal basso incollato alla drumbass di Leonardo Gatto. Mentre la chitarra di Giorgio Scarano cerca e crea orizzonti sonori che si sdraiano sui tumulti ritmici, come un velo impetuoso. Si viene dunque catapultati nel viaggio ad alta velocità di “Winding tapes”. Ed è un treno in corsa che durante il tragitto si trasforma in uno spider lanciato a oltre 200 kmh su un’autostrada notturna. Con “The Worm and the sprinkler” si nota una base lenta di chitarra su una sezione ritmica intrecciata ed intenzionata ad andare avanti, nonostante i vagheggi sonori della prima. Poi è il turno di “Two-bad”, tra i rappresentativi del genere nairobiano, con la sua non linearità da ritmo indeciso, ma scandito e potente. Fa accomodare su di sé una chitarra trasognante, che sembra parlare sola, con tono dolce, mentre è a cavallo di un rinoceronte ritmico. Gran bel gioco di drumbass/charleston/snare anche in “Tricky traps”. Ed in “Escape from the Planet of the Robot Monster” i suoni sembrano fraseggi in algoritmi pronunciati da robot in movimento, mentre inseguono l’ascoltatore in una geenna sonora. “Turbo pascal” è un momento di stasi, di catarsi, di espiazione dei peccati che si è commesso per avere pensato male a causa di questa ritmica forsennata. E si viene poi condannati alla dannazione di “Megalopolis”, col suo andamento saltellante e le sue aperture a mo’ di distruzione degli orizzonti sonori costruiti, figurati nella mente con fatica. Per poi finire nell’inferno di “Oh, guns guns guns!”, coi sui colpi snare a percuotere il cervello. E se questo è l’inferno, to die is to live. Bella prova questa del trio Nairobi. Coraggiosa e considerevole. Apre le porte ad un tipo di sperimentazione che si gioca tutta sulla capacità dell’ascoltatore di figurarsi panorami sonori, traendoli dalla ritmica e dall’ansietà dei brani. Senza ausilio di elettronica, melodie o voci. Bisogna dunque essere preparati per accostarsi al mondo dei Nairobi. E ne vale la pena, per l’estasi o per inferno della loro comprensione.
(Vito Pagliarulo)