YAIR ETZIONY  "Ensemble "
   (2020 )

Terza parte di una cosiddetta “Trilogia Berlinese”, ed appena uscito per False Industries Records, Ensemble di Yair Etziony, come denota già il titolo, è un lavoro di osservazione minuziosa e audace sulla creazione dell’insieme anziché del singolo, sul trionfo della collegialità e della collaborazione sul genio romantico che opera nella solitudine. Ostico e coraggioso, questo terzo lavoro berlinese di Etziony è più colorato e vivace dei precedenti, ben più cupi e inquietanti.

Ensemble, che segna il ritorno di Yair Etziony a strumenti come il Nord Modular e il MAX/MSP, è un nuovo modo da parte dell’autore di interfacciarsi con la distopia che le proprie opere sanno creare, un modo cupo e diretto di analizzare la realtà che, in questa nuova declinazione, non è privo di ottimismo e speranza. Così l’inizio di “39C at Templehofer Feld” è un minimalismo che, a differenza degli album precedenti di Etziony, cerca di costruire un nuovo orizzonte per l’uomo postmoderno così privo di certezze e di aiuto.

In questo senso, “Kottbuser Damm” pare voler costruire qualcosa dove le macerie sono ancora calde e il fumo sta annebbiando le coscienze e il presente. L’oscurità e la paura sono sempre dietro l’angolo, ma la musica vuole provare a dare una direzione per una rinascita e una ricrescita dopo la decadenza. Fantasmi compaiono, luci nel buio, dove “Teufelsee” splende e regala una storia che può ancora salvarci e può ancora redimerci.

Se luci e ombre si inseguono è normale che poi un messaggio univoco non possa uscire da Ensemble. Le fondamenta solide che ci sono state inculcate mentre crescevamo scompaiono per lasciare spazio a una fluidità che non dà garanzie. Emblematiche in questo senso sono “The Ministry of Love” e “Vantaa”, saette scagliate nel cielo, lugubri introspezioni minimaliste di synth, un tappeto sonoro straniante e concreto. Rifuggono da qualsiasi facile etichettatura anche “Goodbye to All That”, sperimentale al massimo grado, “Poznan”, che lascia entrare qualche raggio di sole in una cantina isolata, e la conclusiva “No Infrastructure”, che sembra non voler chiudere affatto il discorso, discorso che certamente Yair Etziony saprà proseguire nel corso della sua carriera con soluzioni altrettanto efficaci. (Samuele Conficoni)