LATLETA  "Miraggi"
   (2020 )

“Parliamo piano qui nel nord” (da” Viva la vita”)

Il torinese Claudio Cosimato, in arte LATLETA, già noto come Vittorio Cane, con tre album alle spalle, non si definisce un cantante ma un osservatore. Compone cantando distaccato senza eccessiva enfasi o virtuosismi, canta quasi per sé stesso.

Le canzoni hanno strutture abbastanza semplici, i testi non hanno sempre funzioni narrative ma lavorano per associazione, con il mood musicale e l’emozione che LATLETA vuole richiamare.

Sono “Miraggi”, appunto, piccole finestre aperte sulla quotidianità e l'immaginario dell’autore. La voce distaccata di Claudio plana sulle basi composte a casa in solitudine, con drum machine, pianoforte, chitarra e vecchi synth vintage (il vero valore aggiunto del disco a mio parere)
.

Il risultato è un album senza tempo ma ispirato e intimo. Un synth pop che strizza l’occhio a Battiato, Bugo e Battisti (periodo Panella) mantenendo una propria autonomia stilistica.
 LATLETA ci porta in un mondo abitato di astronauti, pesci non volanti, gazzelle ma anche Festivalbar, passeggiate in centro e Lucio Dalla. Il tutto condito dai beat dritti della drum machine e da suoni che ci riportano ai dischi degli anni '70 e '80. Apre, con un synth degno del Bowie di “Low“, il cauto ottimismo da sabato mattina di “Viva la vita“, ed è un ottimo inizio.

Poi si fa tappa in una Ibiza fuori dagli itinerari turistici, per una coincidenza con le influenze cosmiche che ci verranno a salvare. I miraggi continuano, appaiono un cammello, una scimmia e un bazar, come recita il trascinante doppio livello vocale di ”Io ti conosco”, forse il pezzo più riuscito dell'album. Tribalismo e coretti uh uh ne ”La gazzella”, in una giungla di voci filtrate, twist e cha cha cha; poi i ritmi rallentano nell'ispirata "La confusione". Arrivano chitarra e synth per elaborare un piccolo senso di colpa in "Nelle nostre Anime". Fragile e delicata anche "I pesci", dove spunta il pianoforte e il cantato si fa malinconico: si parla di pesci che non possono volare e neppure parlare.

“Sogno che” è il pezzo più vintage della raccolta, con una linea vocale un po’ trascinata che richiama il Vasco nazionale d’annata. Poi si liberano i beat: arriva il riempipista. Il gran finale è affidato a “Balla la testa“, in controtendenza con il resto del disco, ritmo e testo si piantano nel cervello e fanno venir voglia di riascoltare tutto.

La sensazione che rimane è quella di una sincera pacca sulla spalla quando le cose non vanno benissimo, perché, come sussurra Claudio, “Ci vuole amore/per uscire dal terrore/ci vuol terrore/per uscire dall'amore", che è giusto e reversibile.

Insomma, LATLETA sembra in forma: non vincerà mai X-Factor (probabilmente non è tra i suoi prossimi impegni) o il festival di Sanremo (ma chi può dirlo?), però è dotato di un proprio immaginario, di ironia e di un'urgenza espressiva di tutto rispetto.

Per me una rivelazione… speriamo non sia un miraggio.
 (Lorenzo Montefreddo)