IL BRANCO BARRACUDA  "Borderline"
   (2020 )

Il pop è una via di mezzo.

Mette d’accordo quasi tutti: si ascolta alla radio, in macchina, al bar, sul tram. E’ disimpegnato e leggero, ha melodie da ricordare e ritornelloni che canti nella vasca da bagno. Il pop va bene per ogni occasione. Piace a me, piace a mia moglie che di solito ascolta cose nemmeno meritevoli di menzione, piace a nostra figlia che ha tredici anni ed è in fissa con The Vamps, One Direction e R5, piace pure al mio collega Jerry che ama i System Of A Down, per dire.

In Italia, nell’ultimo decennio è stato tutto un fiorire di pop come non se ne sentiva da parecchio, music for the masses offerta a vagonate in svariate sfumature, da Niccolò Contessa – dal quale discendiamo tutti – a Michele Bitossi, passando per Calcutta giù fino a Coez, a Gazzelle, al discusso Tommaso Paradiso.

Ecco: da Brescia con l’intento dichiarato di fare del pop arriva Il Branco Barracuda, anno di fondazione 2014, cinque ragazzi che pubblicano per la ferrarese Alka Record Label il secondo album dopo una bella serie di singoli apparsi negli anni scorsi con buoni riscontri, anche radiofonici.

Gli otto brani di “Borderline” interpretano magistralmente il canone: rimangono agili e godibili, stanno tutti attorno ai tre minuti, vanno al dunque senza strafare o sdilinquirsi, centrano singalong, ganci, linee di basso, idee assortite. Ci mettono quei testi che oggigiorno stanno da dio su qualsiasi vestito, un misto di ironia, nonsense, ordinario malessere quotidiano e un velo di nichilismo: parole a volte bislacche che dicono tutto e niente, ma sei contento così, che venga il kamikaze a mani nude/se davvero vuole morire/che venga il kamikaze a mani nude/così vediamo come va a finire (“Kamikaze”).

Tra accenni di gag (“Scandaloso”) e concessioni affatto banali ad una mesta amarezza (“Copriti”), spiccano il canto sbilenco ed il divertissement à la MDDPO di “Non ci sono stato mai”, la ballata stralunata di “Funerale” che fa un po’ Zen Circus, la chiusura desolata di “Parassita”, nostalgica e inzuppata di una sincera malinconia.

Come nei dischi dei Fatima Mansions, ogni pezzo è una potenziale hit: semplicemente funziona, una camera con vista su un piccolo mondo moderno con la sua superficialità e i suoi sentimenti un po’ stracciati (“Collidere”, che non a caso cita I Cani). Qualcosa cui non vuoi rinunciare, la lievità che sperimenti con in cuffia “Vieni a casa mia”, mentre alla fermata di Rogoredo continui a ripetere in un angolo della tua testa e vieni a casa mia/è Filicudi è Pantelleria/è il mare scuro del Portogallo/ti aspetto a casa mia/così parliamo dell’Argentario. Come via di mezzo, non si discute. (Manuel Maverna)