GABRIELE MITELLI  "The world behind the skin"
   (2019 )

Dopo le percussioni, gli strumenti a fiato sono stati tra i primi a comparire nell’umanità. Soffiare in un tubo è qualcosa di ancestrale, che ci appartiene dalle prime guerre. Non solo per i corni che annunciano una battaglia. Nell’era primitiva, i primi flauti erano costruiti con ossa umane, quelle dei nemici sconfitti. Ecco perché sentire il suono di uno strumento ad aria che risuona in un legno o in un ottone, può darci particolari emozioni viscerali che non sappiamo spiegare. Gabriele Mitelli sembra sapere tutto questo, suonando cornetta, saxofono soprano e flicorno contralto, che con l’ausilio dell’elettronica, ma soprattutto lo sfruttamento delle potenzialità rumoristiche degli strumenti, crea ambienti dilatati, a volte disagianti, a volte intriganti. L’album “The world behind the skin”, appena uscito per We Insist! Records, è composto da quattro viaggi in questa dimensione. “Trip to the abysses” scava nel fondo con i fiati, indagando sulle possibilità noise e di distorsione, mentre “Just take another” include oggetti battuti e messi in loop, e la voce che canta il titolo a ripetizione come un mantra. “The fisherman’s prayer”, dopo quattro minuti e mezzo di caos sferragliante, riporta un oggetto percosso alla funzione ritmica normale, dandogli il compito di una ritmica stabile, e sopra ascoltiamo un assolo di cornetta. Il battito continua e ci introduce nel quarto e ultimo capitolo: “The red sunrise and the octopus”. Ritorna un suono d’abisso, che a un certo punto viene elaborato elettronicamente, e “chiuso”, involuto nella sua forma d’onda, per diventare drone music, sulla quale si stagliano note lunghe dal suono simile a quello d’organo a cappella. Su un unico suono si gioca con gli armonici, si destruttura il suono, si indugia sulle rifrazioni cristalline, fino alla fine. Questo è il mondo dietro la pelle, secondo Gabriele Mitelli. (Gilberto Ongaro)