LES COMPTES DE KORSAKOFF  "Nos amers"
   (2019 )

Follia compositiva francese: Les Comptes de Korsakoff sono otto musicisti che fanno incontrare rock e jazz con le strutture dell’opera, in una maniera davvero insolita ed intrigante. Musiche composte da Geoffrey Grangé, che canta e suona il basso, testi scritti dalla violoncellista Marie-Claude Condamin. Arrangiamenti di Guillaume Pluton che suona la tromba, e costituisce la sezione fiati assieme a Diego Fano ai sax e Grégory Julliard al flicorno basso. Infine, Romain Baret alla chitarra elettrica, Christophe Blond al pianoforte e Quentin Lavy alla batteria. Gli otto brani che costituiscono l’album “Nos amers” sorprendono dall’inizio alla fine, per le scelte stilistiche e gli scontri fra sonorità distanti. “Le Maudit” fa iniziare con lo sconforto, aprendo il disco con armonie diminuite di pianoforte, voce urlante e disperata, batteria lenta come nel doom più estremo (funeral), e note dissonanti di chitarra. L’interpretazione vocale è teatrale e coinvolgente, saltella da acuti a note gravi, fra urla rabbiose e falsetto con la disinvoltura di Serj Tankian. Viene poi avviato un groove dove si staglia un assolo di sax, ma viene fatto tutto terminare all’improvviso con una caduta di pitch. “Carrousel” è un breve brano per basso, che tesse una melodia a fianco a segnali di disturbo. “Terminal” inizia con controtempi di batteria che ingannano: sembra un tempo dispari, ma è un 4/4. Blond senza problemi riesce a improvvisare un assolo al piano, sopra questa assenza di facili riferimenti ritmici, mentre il basso si mantiene tranquillo e si inseriscono elegantemente i fiati. In tutto questo, la chitarra sembra muoversi in maniera parallela, giocando su stranianti notine da post rock. Non stranianti di per sé, ma lo diventano, visto il contesto totalmente diverso. E poi vira sul palm muting pulito, all’inizio di “Murmures à l’Oreilles des Monstres”, mentre il pianista azzanna i tasti con accordi dissonanti novecenteschi. Quando il violoncello scoppia a piangere, viene arrestato cinicamente da due note staccate dei fiati, che prendono la scena, mentre il batterista indugia sul ride. La chitarra continua a dare il suo contributo rock nell’insieme avanguarde jazz, con il flanger su un lento wah wah, il tutto in 5/4. La voce continua ad alternare fasi parlate narrative ad urla. Il mood creato continua nel successivo “Pére et Fille”, dove finalmente Baret avvia un vero e proprio assolo di chitarra, per anticipare l’arrivo di un groove pseudo latino, con batteria su tom e timpano, e piano elettrico, dove Grangé canta in maniera normale, e fiati e violoncello insieme gli fanno da controcanto. La ricchezza d’arrangiamento temporaneamente si svuota all’inizio di “Bateau qui Coule”, dove il pizzicato del violoncello resta fra vento, acqua e imitazione d’uccelli. Mentre Grangé parla sottovoce, i fiati iniziano un incedere funebre, da via crucis in Sicilia, ma dal sapore grottesco, come dire, fantozziano. E lì, la voce sussurrata glissa fino ad urlare. La musica allora si trasforma in un valzer circense, sovrastato da risate beffarde, e il delirio felliniano si chiude in maniera roboante. “Antidote” è una composizione per violoncello e fiati, molto più sobria. Ed infine “Le Double” costruisce gradualmente un ritmo che appare lineare, ma sviluppato su due battute di 5/4. Il ritmo diventa forsennato, ma poi si spegne, lasciando soli voce sofferta e pianoforte, in un dramma languido ed espressivo come nei momenti più bui dei Radiohead. Ma è solo un’impressione momentanea, perché Les Comptes De Korsakoff sono riusciti, per dirla con Battisti senza Mogol, a “spostare il confine di ciò che è normale”, a spingere una nuova direzione, in una strada che era rimasta ancora poco battuta, se non da Mike Patton con i Mr. Bungle. (Gilberto Ongaro)