JORG PIRINGER  "Darkvoice"
   (2019 )

Jörg Piringer l’abbiamo già incontrato qui a Music Map, tra i fondatori della Vegetable Orchestra, un collettivo che suona le verdure (http://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=6524). In questo caso, come solista, compie una battaglia contro l’età della permanente sorveglianza elettronica. Attraverso l’ausilio dell’elettronica stessa, mira a creare un nuovo linguaggio, volutamente indecifrabile, per sfuggire al controllo. Una sorta di codice per auto-censurarsi, ottenuto campionando frammenti vocali, tecnologie digitali e “tipografia sinistra”. Questo campionario di dialoghi incomprensibili prende il nome di “Darkvoice”, disco appena uscito per Transacoustic Research Records. Anche i titoli stessi delle tracce sfuggono qualunque interpretazione e regola grammaticale (nessuna maiuscola): “mmma”, costituita da M e da A pronunciate in maniera gutturale, sostenute da una ritmica distorta. In “menn”, una voce deformata con l’elio indugia sulle sillabe “ca” e “co”. Con “p a” fa capolino la preannunciata tipografia, con rumori di stropicciamenti industriali, e macchinari d’ufficio. Si sfiora la paranoia in “peed”, dove siamo perseguitati da una freddissima “ü” che potevano concepire solo i Kraftwerk, in questa maniera gelida. Appassionante è “dig”, montata come un film, in cui si alternano due scenari distanti: uno sembra lo scroscio di un applauso in teatro, l’altro un fondale oceanico, sondato da un sottomarino. I due scenari sonori poi si mescolano in maniera aggressiva. Con “g-singe” sembra di raggiungere il digital hardcore, con battiti spinti, gravi suoni rimbalzanti, e una voce robotica. Lo straniamento continua con “raac”, dove un mare digitale fa da fondo a un basso continuo, che sembra una minacciosa caldaia incandescente, e sopra si stagliano ancora rumori di… copisteria? Andiamo direttamente in fabbrica con “bbbbb”, fra impulsi stabili di oscuri attrezzi, circondati da venti di tempesta e respiri ringhianti. Invece, sembra quasi un invito alla danza “teew”, dai battiti regolari e umanamente raggiungibili. Meno amichevoli le voci campionate sopra. Il titolo “el sys” sembra un indizio alla comprensione, unione spanglish per comunicare “il sistema”, ma è un’interpretazione arbitraria. Fatto sta che in questa traccia, per la prima volta, un impulso sonoro tesse una sorta di melodia randomica, dopo essere stata anticipata (e seguita) da una voce che si trasforma in mosche ronzanti. Infine “hoit” ci saluta con un suono nasale ribattuto, fino all’alienazione. Per sabotare lo schema di comunicazione mittente – messaggio – ricevente, dove nessuno comprende nulla e per questo tutti sono protetti dal controllo, o più semplicemente per intripparsi, “Darkvoice” è un buono strumento di enigmistica. (Gilberto Ongaro)