L'ORAGE "Medioevo digitale"
(2019 )
L’Orage è un quintetto valdostano che, dall’anno di formazione (2009), ha difeso con tenace coerenza un discorso legato alla libertà di pensiero, e tutto ciò è riscontrabile anche nel nuovo album “Medioevo digitale”. Sotto l’aspetto dei contenuti, stavolta la band si indirizza un po’ di più su tematiche d’attualità e sociali, denotando maggior maturità nell’essersi evoluti anche nel sound, sposando marcature più energiche con coraggio e, soprattutto, con sincerità. E sicuramente questa semplicità ha suscitato l’apprezzamento di un Big schietto e diretto come Francesco De Gregori, che ha prestato la sua collaborazione in più di un’occasione. “Medioevo digitale” colpisce già dalla sarcastica cover-art , nella quale la statua di un mitologico dio maneggia un cellulare, simbolo di degrado comunicativo. La proposta si snoda su 12 brani ed apre con la titletrack, in cui si odono echi di Nirvana (nel simil-riff di “Smells like teen spirit”), giusto uno sfizio omaggiante poiché il contenuto, nel suo proseguo, è di tutt’altra pasta: pop incalzante con tanto di cornamuse. Svisate d’archi trionfano nella tenera “Il mare in mezzo”, supportate da dolce flauto e fini fraseggi, mentre il folk degli esordi non viene dimenticato, riportandolo bene in auge in “Sette lune”, con la disincantata vocalità del singer Alberto Visconti che rasenta le corde di Max Gazzè. Graziose le strumentali “Batteria al Lidio” (part.1 e 2) e “A cell sereno”, che intermezzano l’opera con briosi folk e spolverate di reggae e sempre avvertendo la netta sensazione che l’ironia non abbassi mai la guardia anche in assenza di parole, se non quelle dei titoli, fin troppo eloquenti. Dopo l’innocua ed impalpabile “Sylvie”, i L'Orage riaccendono l’estro nel pop-rock del singolo “Canto d’addio”, colmo di tambureggiante malinconia ed immanente passionalità, con cui il combo valdostano tiene a rimarcare forti tematiche che hanno a cuore, trattate con palese altruismo scritturale. Delicata eleganza vige in “Mia libertà”, dettata con fregi d’archi in mood filo-rondò, mentre “Terra desolata” è allestita con quella rabbiosa e saggia amarezza che ci tramanda l’illustre prof. Vecchioni da immemore tempo. La ballad in francese “Dedans un Jardin” completa l’opera in clima acoustic-retrò. Arricchito di pregiate collaborazioni (lo scrittore Enrico Remmert, il guitarist Robbo Bovolenta e altri), “Medioevo digitale” involucra una dozzina di ami comunicativi, al cui abbocco è difficile sfuggire, poiché ci riguardano da molto vicino e perché, come tutti, anche noi soffriamo per il declino climatico e la decadenza culturale, ed aneliamo, non poco, un salvifico ritorno all’equilibrio, alla conservazione e all’approfondimento generale, per non consegnare alla storia uno spaccato di vacuo e delirante pragmatismo. (Max Casali)